sabato 20 dicembre 2008

Il testo originale

E’ convinzione generale dei cristiani d’occidente che il testo originale degli Evangeli sia stato scritto in greco koiné, invece sussistono evidenze che questo è una traduzione.

Infatti, i cristiani Assiri, di cui pochi hanno conoscenza, conservano il testo aramaico, il quale loro sostengono aver ricevuto direttamente dagli Apostoli, asserzione assolutamente credibile, dal momento che sono stati gli Assiri i primi gentili a convertirsi in massa alla fede in Yeshua Messia. La conversione degli Assiri è molto significativa, in quanto fondamentale per il riscatto della Casa di Israele, esule appunto in Assiria. La storia di questo popolo rimane sconosciuta dopo la caduta di Ninive, invece, è un popolo che ha portato il messaggio evangelico in tutta l’Asia. Non c’è in questo sito spazio per raccontare tutta la storia degli Assiri, né è lo scopo di questo studio, ma per gli interessati a saperne di più (se sanno l’inglese), si raccomanda visitare il loro sito ufficiale, Assyria On Line. Il testo biblico aramaico che conservano gli Assiri si chiama “Peshitta”, che significa “diritto”, “schietto”, ovvero, l’originale, autentico Nuovo Testamento.

L’aramaico era la lingua di Yeshua e degli Apostoli, i quali, ad eccezione di Shaul di Tarso, non erano stati mandati dai gentili, quindi, è naturale che avessero scritto in questa lingua piuttosto che in greco. Gli Assiri sostengono di essere stati evangelizzati dagli Apostoli personalmente, e ciò ha riscontro sia storico che biblico – sappiamo che Kefa scrisse da Babilonia (1Kefa 5:13), che non era Roma, ma Babilonia; altre testimonianze dell’epoca confermano che Natanael, Taddai e Toma, che poi andò in India, hanno effettivamente ministrato in Assiria, e probabilmente anche altri Apostoli. Assiria era d’altronde il primo posto dove andare a riscattare le “pecore perdute della Casa di Israele”...

Molti teologi occidentali contestano questi fatti, malgrado esiste l’evidenza interna nello stesso testo greco degli Evangeli, che questo è una traduzione dall’aramaico – nel corso di questo studio esamineremo alcuni esempi molto eloquenti. I libri del Nuovo Testamento, fatta eccezione delle lettere di Shaul, sono stati scritti in aramaico e posteriormente tradotti in greco, perché questa era la lingua franca nell’Impero Romano, ma nessun testo greco è mai giunto in Mesopotamia ed oltre, dove all’ora si parlava la lingua degli Assiri e degli stessi Giudei, e che tuttora parlano sia gli Assiri in esilio che i Giudei Mizrachim.

A differenza dell’occidente, dove la grande maggioranza dei cristiani erano gentili -quindi, non erano in grado di leggere in aramaico-, l’assemblea dei discepoli di Yeshua in Assiria contava con un gran numero di Ebrei, che erano l’etnia maggioritaria in Babilonia e Adiabene e parlavano la stessa lingua degli Assiri, l’aramaico. Gli Assiri portarono l’Evangelo in questa lingua persino in Cina; il primo alfabeto usato dai Mongoli fu proprio quello aramaico.

L’aramaico della Bibbia, “Assakhta Peshitta”, è la lingua in cui gli Ebrei d’Adiabene -un regno in Assiria la cui casa reale si convertì al Giudaismo- leggevano la TaNaKh, versione aramaica delle Scritture Ebraiche alla quale fu aggiunto il Nuovo Testamento in tempi apostolici; questa versione raggiunse tutta l’Asia, ed è tuttora usata nelle comunità cristiane orientali. Un’altra evidenza che il Nuovo Testamento Assiro è il più genuino è che contiene soltanto i brani più antichi ritrovati fino ad oggi, escludendo le annotazioni al margine fatte dai copisti che poi sono diventate parte del testo, ed i brani aggiunti posteriormente. Nel Nuovo Testamento Peshitta, la sequenza dei libri è come segue: Evangeli, Atti degli Apostoli, Epistole di Yakub (Yakov), Ke’efa (1Kefa) e Yukhanan (1Yohanan), e per ultimo le Epistole di Shaul. A differenza del Nuovo Testamento “greco”, non contiene invece 2Kefa, Yehuda, 2 e 3 Yohanan e l’Apocalisse, considerati apocrifi dagli Assiri, e non contiene neanche Yohanan 8:1-11 (la donna adultera), che non appartiene al testo originale. Il testo aramaico del Nuovo Testamento con traduzione interlineare in inglese è disponibile su internet qui.

Il canone delle Scritture Ebraiche è stato determinato con certezza, accettato sia dai Giudei che dagli evangelici, e l’Evangelo stesso ci conferma che anche Yeshua dichiarò che la Torah, i Profeti e gli Scritti (TaNaKh) sono la parola di Elohim. I primi discepoli leggevano queste Scritture nella comune adunanza, e si riferivano ad esse per confermare le loro dottrine. Il canone del Nuovo Testamento non fu determinato nel periodo apostolico, e non dai testi originali ma dalle versioni greche, nelle quali si riscontrano incoerenze in parte dovute a che il testo di riferimento era la Septuaginta, la quale, come abbiamo già visto, era una traduzione non molto fedele alle Scritture Ebraiche, e con interpolazioni di traduttori di possibile estrazione essena. In base a questo criterio, è opportuno interpretare il Nuovo Testamento rispettando l’armonia con le Scritture Ebraiche, le quali devono sempre stabilire i parametri d’interpretazione e confermare la stessa. In questo studio si prenderà come testo di base quello aramaico, il quale è il più antico e vicino al messaggio originale.


Molti brani dimostrano che il testo originale degli Evangeli non poteva essere il greco, perché il testo greco presenta degli errori clamorosi, frutto della mancanza di conoscenza del traduttore. Un esempio lo troviamo in Matteo 27:9-10, il quale attribuisce a Yirmeyahu una parola scritta in realtà da Zakharyah:

“Allora si adempì quello che era stato detto dal Profeta Yirmeyahu: «E presero i trenta sicli d’argento, il prezzo di colui che era stato venduto, come era stato valutato dai figli d’Israele, e li diedero per il campo del vasaio, come me l’aveva ordinato Adonay»”. (Matteo 27:9-10)

“Io dissi loro: «Se vi sembra giusto, datemi il mio salario; se no, lasciate stare». Ed essi mi pesarono il mio salario: trenta sicli d’argento. HaShem mi disse: «Gettalo per il vasaio, questo magnifico prezzo con cui mi hanno valutato!» Io presi i trenta sicli d’argento e li gettai nella casa di HaShem per il vasaio”. (Zekharyah 11:12-13)

Sicuramente Matteo, un Ebreo che conosceva le Scritture -se non prima, almeno dopo di essere diventato un discepolo di Yeshua-, non poteva aver commesso un tale errore, né altri come quelli relativi alla genealogia, che vedremo più avanti in questa stessa pagina. E’ altrettanto questionabile la somma di trenta sicli d’argento, proprio perché tale moneta d’argento all’epoca di Yeshua non esisteva più da molto tempo...

In quanto concerne il testo originale del Nuovo Testamento, è un argomento che è stato esaminato ed approfondito con imparzialità da Pinhas Lapide (1922-1997), studioso ebreo già direttore di Istituto nell’Università Bar-Ilan (Israele) e professore in diverse facoltà teologiche in Germania e Svizzera. Egli manifestava il suo apprezzo per Yeshua e lo considerava uno dei Profeti d’Israele, incoraggiando gli Ebrei a riscoprire Yeshua com’egli era, togliendo di mezzo l’immagine che di lui hanno presentato i cristiani. In uno di suoi libri intitolato “Ist die Bibel richtig übersetzt?”, tradotto all’italiano con il titolo “Bibbia tradotta, Bibbia tradita”, Pinhas Lapide tratta sull’interpretazione di certi passi biblici e della traduzione di essi. In questo studio, è opportuno trascrivere alcuni brani di quest’opera che servono ad illuminare chi vuole studiare le Scritture con obiettività. Del suddetto libro, ecco alcuni brani selezionati:

Quanto è azzurro il Mar Rosso? [“Bibbia tradotta, Bibbia tradita”, parte seconda, 2, 10]


«Tutti sanno che il Mar Rosso è famoso per il suo cristallino colore azzurro, che rallegra fino ai nostri giorni i numerosi turisti che vanno a passare le vacanze sulle sue sponde. Come si è giunti quindi al rosso del suo nome? Partiamo dalla Bibbia Ebraica, nella quale il Mar Rosso occupa un posto centrale come luogo della prodigiosa attraversata dei figli di Israele al tempo della loro uscita dall’Egitto. Nella Bibbia Ebraica esso si chiama Yam-Suf (“Mare dei Giunchi”), poiché le sue sponde sono coperte di giunchi che erano famosi già nell’antichità. Già all’epoca dei faraoni, dai giunchi si ricavava la materia prima per fabbricare i rotoli di papiro. Quando, verso il 1375 John Wyclif eseguì la prima traduzione completa della Bibbia in inglese, rese molto correttamente nella sua lingua materna questo “Mare dei Giunchi” con “Rede Sea”, in base all’ortografia del tempo» [oggi sarebbe “Reed Sea”, ndr]. I traduttori successivi presero in considerazione oltre che i testi originali anche la traduzione di Wyclif, ed interpretarono che egli avesse reso Yam-Suf come “Red Sea”, quindi, sin d’allora il “Mare dei Giunchi” si chiama invece “Mar Rosso”...

L’occhio di chi viene toccato? [“Bibbia tradotta, Bibbia tradita”, parte seconda, 2, 23]


«Assicurando a Israele il Suo amore indefettibile, Elohim fa annunciare: “Dice Adonay Tzevaot alle nazioni che vi hanno spogliato: Chi vi tocca, tocca la pupilla del Mio occhio” (Zaccaria 2:8)... Si tratta quindi inequivocabilmente della pupilla dell’occhio di Elohim, in aperto contrasto con il testo originale ebraico, dove dice: “chi tocca voi, tocca la pupilla dell’occhio suo”, intendendo la pupilla dell’occhio di colui che tocca e non la pupilla dell’occhio di Elohim». Certamente, mettersi le dita negli occhi non produce una bella sensazione.

Queste due citazioni precedenti riguardano le Scritture Ebraiche (TaNaKh) e sono state scelte come esempio di come diversi brani di tutta la Bibbia sono stati tradotti inaccuratamente. In seguito, vedremo nella stessa opera alcune considerazioni concernenti il Nuovo Testamento:

Di Giovanni che non battezzava [“Bibbia tradotta, Bibbia tradita”, parte terza, 1, 4]

«Soprattutto nei momenti di sofferenza fisica e di intensa attesa della prossima venuta del Messia, uomini Ebrei lasciavano Yerushalaym e si portavano nel deserto. Lì, mediante l’ascesi e i bagni rituali [“mikveh”, ndr], cercavano di avviare la purificazione di Israele e di accelerare la venuta del Messia. A questi ambienti apparteneva anche Yohanan, detto “il Battista”, figlio del kohen Zekharyah e di sua moglie Elisheva. Il bagno rituale era, ed è, un segno della penitenza già fatta e del ravvedimento già avvenuto nel senso dei Profeti... Così, riguardo al battesimo di Yohanan nel Yarden, il Nuovo Testamento ci dice che si trattava di “un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati” (Luca 3:3). Yohanan gridava: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino!”. “Allora accorrevano a lui da Yerushalaym, da tutta la Giudea e da tutta la regione attorno al Yarden e si facevano battezzare da lui nel fiume Yarden” (Matteo 3:6; Marco 1:6; analogamente anche Luca 3:7). E’ questa la descrizione fatta dagli Evangeli sinottici. Solo un unico manoscritto (Codex Bezae) riporta una diversa lettura di Luca 3:7: “Ed essi si battezzavano davanti (enopion) a Yohanan...”, il che corrisponde esattamente al “battesimo” ebraico. Il verbo ebraico “taval”, che è alla base del “baptizein” della traduzione greca, è intransitivo e significa “immergersi”. Infatti, nell’ebraismo esisteva, ed esiste, solo l’auto-battesimo come cerimonia ritualmente valida. In questo senso, i seguaci di Yohanan si battezzavano davanti a lui su sua disposizione. Egli non era quindi un “battezzatore” nel senso corrente del termine, ma uno che invitava a battezzarsi ed era poi testimone del battesimo. Il cambiamento negli Evangeli sinottici nel senso dell’attuale testo canonico è avvenuto molto più tardi, in epoca post-paolina, quando la chiesa elevò il battesimo a sacramento e lo estraniò dalla sua origine ebraica».

Sulle tracce dell’esseno scomparso [“Bibbia tradotta, Bibbia tradita”, parte terza, 1, 21]


«E’ piuttosto sorprendente il fatto che il nome degli esseni non ricorra nel Nuovo Testamento... Tuttavia sembra che l’Evangelo ricordi un esseno, e anche in posizione elevata, benché sotto uno strano travestimento. Nella pericope relativa all’unzione di Yeshua a Betania, sia Marco (14:3) che Matteo (26:6) parlano del luogo in cui avvenne e lo indicano come “la casa di Shimon, il lebbroso”, mentre, secondo Luca (7:36-50), colui che ospitava Yeshua era “un fariseo di nome Shimon”. Che Yeshua e i suoi dodici apostoli abbiano passato la notte nella casa di un lebbroso noto come tale contraddice qualsiasi logica storica, poiché le norme riguardanti la constatazione e la successiva separazione di tutti i lebbrosi erano rigidamente codificate fin dai tempi biblici (Levitico 13:45-14:32) e venivano meticolosamente osservate in tutti i loro dettagli... Secondo il diritto rabbinico, il lebbroso non solo contaminava ciò che toccava, ma rendeva impuro con il suo semplice ingresso in una città tutto ciò che essa conteneva. Il lebbroso che, ciononostante, osasse entrare nell’abitato, che gli era rigidamente precluso, veniva punito con la flagellazione...

Questo divieto veniva fatto rigidamente rispettare soprattutto per Yerushalaym e i suoi dintorni, ai quali apparteneva anche Betania. Shimon, colui che ospitava Yeshua, in quanto lebbroso non poteva assolutamente risiedere a Betania, nelle dirette vicinanze della città santa, nel cui circondario le norme relative alla purità legale venivano fatte scrupolosamente rispettare; e non poteva neppure essere uno che era stato guarito dalla lebbra e che portava quindi il soprannome di “lebbroso”, poiché, secondo l’ethos rabbinico, era considerato un peccato grave ricordare a qualcuno la sua pregressa infermità (o il suo crimine già espiato), come si sottolinea con stile perfettamente ebraico anche nel discorso della montagna (Matteo 5:22). D’altra parte, non era moralmente tollerato l’abbandono del lebbroso al suo destino. L’aiuto e il soccorso erano, per tutti coloro che lo incontravano, un inderogabile dovere imposto dall’amore del prossimo. Dunque è assolutamente improbabile che Yeshua, che aveva assolutizzato l’amore del prossimo, estendendolo fino all’amore dei nemici, che aveva guarito in antecedenza undici lebbrosi (Matteo 8:1-4; Luca 17:11-19) e comandato i suoi discepoli di sanare i lebbrosi (Matteo 10:8), ora, in casa di un lebbroso, non faccia neppure il minimo tentativo di guarirlo o comunque di prestargli aiuto; così com’è improbabile che questo Shimon, a differenza delle centinaia di malati che Yeshua aveva guarito fino a quel momento, non chieda a Yeshua di guarirlo. La ritraduzione in ebraico consente di ipotizzare che nel testo originario vi fosse “Shim’on ha-zanua”, che ha potuto essere molto facilmente scritto o decifrato erroneamente come “Shim’on ha-zarua”, tutto più che nella paleografia qumranica le lettere ebraiche “nun” e “resh” si assomigliano moltissimo. Ora quest’ultimo significa “Shimon il lebbroso”, mentre il primo significherebbe “Shimon l’esseno”... “Zanua”, che significa “modesto, pio, casto e umile” è una delle designazioni talmudiche degli esseni, il cui nome greco “essenoi” (o essaioi) sarebbe derivato, secondo una teoria, da una storpiatura della forma plurale ebraica “zenuim”... Anche la versione greca del Bellum Judaicum di Giuseppe Flavio conosce “un certo Shimon, esseno di razza”, vissuto verso la fine del regno di Archelao. Così pure una delle aggiunte slave a Giuseppe Flavio ricorda “Shimon, uno scriba di origine essena”, come contemporaneo di Yohanan il Battista. Infine, ma non meno importante, la stessa pericope relativa all’unzione contiene indizi che possono confermare quest’ipotesi... Yeshua così rimprovera Shimon che lo ospita: “tu non mi hai cosparso il capo di olio, ma lei mi ha unto i piedi con olio profumato” (Luca 7:46). Il fatto che la maggior parte degli esseni osservasse il celibato, mentre qui “una donna” -secondo Luca addirittura “una peccatrice”- compie nei riguardi di Yeshua “una buona azione” per la quale, secondo tutti i sinottici, egli la loda e la difende, può rendere ancor più penetrante la polemica di Yeshua. Ma il punto essenziale della discussione con gli esseni è un altro. La beneficenza e le opere di carità godevano presso gli esseni di una tale assoluta priorità che questo settore era sottratto al dovere dell’obbedienza ai superiori, che doveva essere altrimenti rigidamente osservata. Per illustrare didatticamente questo aspetto, nel caso dell’unzione di Yeshua non si usa l’olio normale -il Talmud ricorda che questa era abitualmente la norma-, ma “un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso” (Matteo 26:7; Marco 14:3), il che doveva provocare una reazione tipicamente essena: “Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri!” (Matteo 26:8-9; Marco 14:4-5). Nella sua risposta Yeshua difende la nobile intenzione di questa donna... In questo contesto la cosa può essere intesa solo in senso anti-esseno, il che conduce a pensare a un’aggiunta polemica, dal momento che la cura e l’amore di predilezione di Yeshua per i poveri sono sufficientemente noti e non hanno certamente bisogno di una prova scritturale... A questa polemica anti-essena appartengono, fra l’altro: Matteo 12:28, che tenta di confutare la loro escatologia; Luca 16:8-9, dove si rimproverano i “figli della luce” a causa del loro separatismo esseno; il comandamento dell’amore dei nemici (Matteo 5:43s) sembra diretto contro il dualismo esseno e il comandamento qumranico dell’odio dei nemici; la sottolineatura del servizio come l’atteggiamento da preferire (Luca 22:24-27), diretta molto probabilmente contro l’accentuazione essena dell’ordinamento gerarchico; la parabola del banchetto -un’allegoria del banchetto messianico-, al quale vengono invitati “gli storpi, i ciechi e gli zoppi” (Luca 14:14-24), quindi, proprio coloro che erano esclusi dagli organi direttivi degli esseni».

Passa un cammello per la cruna di un ago? [“Bibbia tradotta, Bibbia tradita”, parte terza, 1, 29]

«Tutti conosciamo la famosa espressione di Yeshua:
“E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli” (Matteo 19:24). Ma spesso si distorce, o si nasconde addirittura sotto un tappeto teologico, il vero sfondo di questo famoso cammello. Così sono andate le cose... Un giorno gli si presenta quello che sarebbe stato poi universalmente conosciuto come “il giovane ricco”. A Yeshua piace la sua pietà e il suo stile di vita e lo accoglierebbe volentieri nella cerchia più ristretta dei suoi discepoli, ma... il giovane non riesce a superare l’ostacolo della rinuncia a ciò che possiede. Yeshua rimane ben disposto nei suoi riguardi, “lo amò” (Marco 10:21). Poi sarcasticamente elabora la sua potente immagine del cammello e del regno dei cieli, ispirandosi al mondo dei pescatori del Lago di Tiberiade. Ma nel nostro tradizionale testo dell’Evangelo ci troviamo in presenza di un fuorviante errore di traduzione. In aramaico Yeshua usa effettivamente una formulazione altamente espressiva: “E’ più facile che una gomena passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli”! Ora, a causa di una consonante del testo originale che è stata interpretata in modo sbagliato, la gomena (gamta) della parabola è diventata un cammello (gamal) e anche il gioco di parole è stato profondamente deformato. I marinai e i pescatori del Lago di Tiberiade avevano dimestichezza con le gomene e i relativi aghi. Ma con il passaggio della gomena al cammello si è perso sia il motto di spirito che la forza espressiva di questo detto. Gli arzigogolati tentativi di spiegazione di questa parola di Yeshua, che continuano a circolare, mancano di ogni fondamento».

Queste riflessioni scritte da Pinhas Lapide illustrano con chiarezza che il testo greco della Bibbia non può essere considerato affidabile in quanto inesatto, e che anche il Nuovo Testamento, se non tutto, sicuramente gli Evangeli sono stati scritti nella lingua natia dei loro autori. La traduzione al greco ha poi causato un effetto a catena sulle traduzioni successive alle lingue occidentali. 

1 commento:

usurdatu ha detto...

anche se è da anni che si discute su queste
discrepanze di poco conto, non cambia nulla sulla salvezza e la Grazia di Dio.
questi versi non possono essere una prova che il nuovo testamento non sia tradotto bene.
poi, vogliamo mettere in discussione che Dio non è in grado di custodire la sua viva Parola?!! non sia mai, Dio è in grado si custodire non solo
la sua Parola ma ogni creatura che egli ha messo al mondo.

Quindi, non credo che esistano uomini capaci di correggere la Parola di Dio, e se la bibbia non c'è, nulla cambia, lo Spirito
di Dio, cioè Cristo Gesù è quello che ci insegna ogni cosa, basta avere fede.