martedì 18 agosto 2009

Un culto senza luogo: il pensiero di Paolo

«Santo è il tempio di Dio, che siete voi»   (1 Cor 3,17)


Mauro  Pesce


1.  INTRODUZIONE

L’oggetto di questa riflessione è il culto “senza luogo”, un culto rivolto a Dio che non sia necessariamente legato ad un posto particolare diverso da altri o ad un edificio specifico nel quale esso debba necessariamente svolgersi. La caratteristica e la differenza di un culto di questo tipo non è comprensibile se prima non ci rendiamo conto in cosa consista un’adorazione di Dio legata ad un luogo preciso. Possiamo dire subito che un culto è necessariamente legato ad un luogo quando in questo luogo si manifesta la divinità o quando un’autorità religiosa che possiede sufficiente potere vieta che il culto alla divinità possa svolgersi in edifici diversi da quelli da essa deputati e controllati. In genere il luogo della manifestazione della divinità diventa un santuario, un tempio, un luogo che è sacro perché Dio vi risiede o vi si manifesta. Possiamo perciò concludere che un culto è legato ad un luogo quando si ritiene che il culto alla divinità debba svolgersi solo in un luogo o in un edificio dotato di sacralità. In sostanza questo tipo di religiosità sembra legato a treprincipi: che la divinità si manifesti in un luogo particolare e che vi risieda o continui a manifestarsi in esso; che il culto a Dio debba svolgersi solo dove la divinità si manifesta ed è presente; che il culto consista in una qualche forma di contatto con la divinità stessa. Riassuntivamente potremmo dire che un culto legato ad un luogo si esprime di solito in un santuario o tempio (se con la parola “tempio” definiamo un edificio in cui risiede o si manifesta la divinità). Al contrario, un’adorazione di Dio che non ha bisogno di svolgersi in un luogo sacro darà luogo ad una religione senza tempio.
Sulla base di questa definizione, possiamo dire che una chiesa cattolica è un tempio, poiché in essa c’è sempre la presenza dell’Eucaristia, ovvero del corpo di Cristo. Invece una sinagoga non è un tempio, poiché non c’è una presenza della divinità; allo stesso modo anche una moschea e una chiesa protestante non sono un tempio. Perciò in questi ultimi tre casi ci troviamo di fronte ad un culto senzatempio, mentre in una chiesa cattolica abbiamo un culto col tempio, in quanto le chiese cattoliche presuppongono la presenza costante della divinità sotto la forma dell’Eucaristia. Dedurre da questo che ebraismo, islam e protestantesimo sono religioni che praticano un culto senza un luogo sacro, mentre il cattolicesimo esige che il culto si svolga in un luogo sacro, sarebbe una conclusione affrettata, perchévediamo bene che anche nel cattolicesimo esistono molte forme religiose che non sono legate necessariamente ad un luogo, mentre anche ebraismo, islam e protestantesimo fanno di fatto uso di luoghi di riunione più o meno sacralizzati. Da questa prima constatazione dobbiamo quindi dedurre subito che in una religione un culto senza tempio può coesistere e di fatto coesiste molte volte con culti legati ad un tempio. In una medesima religione esistono sia persone che prediligono un culto non legato a luoghi sia persone che invece non possono fare a meno di luoghi sacralizzati e che, anzi, una stessa persona può servirsi alternativamente di ambedue i tipi di culto. Tuttavia, le religioni possono differenziarsi anche fortemente fra loro per il diverso grado di dare spazio all’una o all’altra di queste due forme di culto. Il cattolicesimo fa coesistere le due forme anche se in alcunicasi prevale in esso il culto legato a santuari e chiese sulla preghiera senza luogo. Nel giudaismo rabbinico, nel protestantesimo e nell’Islam prevale nettamente il culto non legato alla sacralità, ma la localizzazione nelle sinagoghe, nelle moschee e nelle chiese è innegabile, anche se in questi luoghi on si pensa risiedere omanifestarsi la divinità.
Dobbiamo anzitutto domandarci perché un grande numero di esperienze religiose abbiamo necessità di un culto legato ad un tempio dove risiede o si manifesti qualche forma di sacro. Si può rispondere facendo appello al bisogno dei gruppi sociali di ritrovarsi uniti in occasioni di carattere sacro. Ma la risposta più adeguata e più profonda non è di tipo sociale. La ragione ultima di praticare un culto in un luogo preciso sta nella necessità di un contatto con la divinità che risiede in quel luogo, sta nel bisogno di andare in un luogo in cui poter incontrare la divinità. Si va in quel determinato luogo, perché la divinità è lì e non la si può trovare altrove. Questa è anche la spiegazione dei pellegrinaggi: i credenti si recano in quel precisoluogo, poiché lì si trova qualcosa di non disponibile altrove. Andare in quello specifico luogo è necessario perché il culto consiste in un contatto diretto con il sacro. Senza contatto con la divinità non si realizza ciò che è assolutamente essenziale per questo tipo di religiosità.
Vorrei anche che questa riflessione non lasciasse implicito un presupposto, quello del giudizio di valore che forse è presente in alcuni settori della nostra cultura. Spesso il dibattito a favore o contro l’una o l’altra di queste due forme di culto oscilla tra due estremi. Da un lato vi sono coloro che sostengono che il culto legatoad un luogo sacro consiste in una forma arcaica e superstiziosa indegna di una religiosità spirituale e razionale oppure in forme religiose dominate da ceti sacerdotali che utilizzano i luoghi sacri per controllare la popolazione e per arricchirsi mediante i proventi che derivano necessariamente dalla frequenza collettiva nei luoghi sacri. Dall’altro sta la posizione di coloro che vedono nel culto interiore e spirituale a Dio forme di tendenziale annullamento della rilevanza sociale della religione o forme di incontrollabile individualità e soggettività dell’esperienza religiosa che porta con sé il pericolo di assolutizzare comportamenti a volte contrari alla moralità e al rispetto della convivenza tra persone in nome di una personalissima e incontrollabile esperienza interiore del divino. Cercherò perciò di prescindere da un giudizio di valore per il quale un culto senza tempio sarebbe migliore di un culto col tempio. La mia riflessione non parte dal presupposto del disprezzo verso le persone che praticano un culto col tempio e cercano un contatto con la divinità in un luogo specifico.

2.OSSERVAZIONI SUL PRIMISSIMO CRISTIANESIMO

Non possiamo sottrarci ad alcune domande: il culto che i vangeli sinottici attribuiscono a Gesù, il culto che Paolo di Tarso praticava, e quello che viene proposto da alcune frasi del vangelo di Giovanni erano forme di culto col tempio oppure senza tempio? Erano necessariamente legati a luoghi ed edifici sacri particolari? Richiedevano un contatto con la divinità oppure no?
Se si trattava di forme di culto senza tempio dobbiamo domandarci quale sia la natura di questa forma di culto, soprattutto per un aspetto centrale: essa consiste in un contatto diretto con la divinità non mediata da alcun luogo edificio o persona oppure no? E in cosa consiste questo contatto diretto e perché è necessario?
Possiamo cercare di dare una risposta a queste domande esaminando la forma di culto più semplice: la preghiera, l’atto del pregare Dio. La preghiera è una forma di culto in cui ci si rivolge alla divinità con un particolare atteggiamento corporeo, con una particolare disposizione interiore considerati adatti ad entrare in contatto lapotenza soprannaturale. Vi sono forme di preghiere in cui si verifica un contatto con la divinità che il pregante verifica e altre in cui la divinità non risponde in alcun modo all’orante e non si manifesta in alcun modo presente a lui. In questo secondo caso si dà preghiera senza contatto con il divino.
Secondo il Vangelo di Luca, la preghiera che Gesù pratica è una forma religiosa con la quale egli tende a porsi in contatto con Dio. Ad esempio, Luca narra (ed è il solo vangelo a farlo) che, uscito dall’acqua appena dopo il Battesimo, Gesù prega; ed è proprio mentre sta pregando che si manifesta lo Spirito (Lc 3,21-22), dando quindiluogo ad un contatto fra Gesù e il mondo soprannaturale. E’ ancora il terzo vangelo, che diverrà poi canonico, a raccontare che Gesù, insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni, sale sul monte per pregare; ed è proprio mentre prega che avviene la sua trasformazione corporea (Lc 9,29). Quindi sembra che anche in questo caso la preghiera debba dare luogo ad un contatto con la divinità e non sia semplicemente un parlare, un chiedere, un lodare, che rimangono senza risposta. Ci deve essere uncontatto, una manifestazione del divino che, in qualche maniera, entra in Lui. In questo caso il contatto si manifesta con una trasformazione corporea, oltre che con l’apparizione di due persone dell’oltretomba e l’ascolto di una voce soprannaturale. Tuttavia, questo contatto con il soprannaturale, verificatosi in seguito a preghiera, non avviene in un tempio, bensì su un monte. Gesù non ha avuto bisogno di un santuario per cercare un contatto col divino, ma di un luogo particolare si: unmonte.
Per il quarto vangelo divenuto poi canonico, il Vangelo di Giovanni, l’obiettivo fondamentale del culto sembra essere quello di ricevere dentro di sé lo Spirito Santo che permette al credente di rimanere in contatto con Gesù (Gv 15,1-7) dopo la sua morte (Gv 20, 19-23; 14,16-17; 14,26; 15,26). Si può affermare che il cristianesimo giovannista non è una religione del libro (questa è una definizioneislamica del cristianesimo), bensì una religione dello Spirito. Il punto fondamentale è che il contatto personale con la divinità non avviene in un luogo, in un edificio, ma solo nell’interiorità dell’uomo, attraverso lo Spirito. Il quarto vangelo insiste molto su tale punto. Il contatto con Dio avviene solo in se stessi. Il Vangelo di Giovanni è l’unico che mette in bocca a Gesù una serie di affermazioni radicali: «Gesù le dice: Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità» (Gv 4, 21-24).
Il cristianesimo successivo sembra, invece, aver - se non negato - almeno corretto o accostato tali aspetti della religiosità giovannista con forme di culto legate a luoghi. Ha infatti riaffermato la presenza potente della divinità nei templi e anche in luoghi di apparizioni e miracoli, e perfino in oggetti come sindoni, immagini, reliquie. I pellegrinaggi verso tali luoghi e la ricerca di porsi in contatto con tali oggetti ne sono testimonianza. Abbiamo, infatti, proposto una differenza, ossia la presenza di Dio localizzata (il culto col tempio) e una ricerca di Dio non localizzata, che può avvenire in due maniere: 1. una preghiera senza contatto e 2. una preghiera con contatto con la divinità, che avviene tuttavia senza legame con oggetti e luoghi. Il Gesù storico e il giovannismo propongono una religiosità senza tempio in cui la preghiera ottiene un contatto con Dio nell’interiorità dell’uomo senza alcun bisogno di legami con luoghi e oggetti. Il cristianesimo successivo restaura le forme consuete della religiosità del tempio e del luogo sacro.
Uno storico delle religioni statunitense, Jonathan Smith, ha proposto di definire il cristianesimo primitivo come una di quelle religioni che si formano nel mondo tardo-antico. Secondo Smith sarebbero esistiti allora due tipi fondamentali di religione: 1. la “religione del qui” (in inglese here) e 2. la “religione del là” (there). La “religione del qui” è la religione domestica, quella in cui il credente ha in casa le proprie divinità. Invece la “religione del là” è la religione del tempio, esterno alla casa e centro della società, il santuario all’interno del quale abita la divinità. La religione del qui è centrata sulla famiglia e sul nucleo domestico, quella del santuario è centrata sulla città, sulla comunità politica. Distanziandosi da questi due tipi di religioni, alla fine del mondo antico nascerebbero nuove religioni (tra cui il cristianesimo primitivo), che sono le “religioni dell’ovunque” (in inglese anywhere). Gesù sarebbe uno dei rappresentanti di una religione dell’anywhere, per la quale Dio può essere adorato e trovato ovunque e non in un luogo specifico o particolare. Gesù il Vangelo di Giovanni e, come ora vedremo, anche Paolo, testimoniano una religione che esercita il suo culto verso Dio in qualsiasi luogo, andando oltre sia la religione domestica sia quella del tempio. Invece, il cristianesimo successivo, pur senza abbandonare questo nuovo tipo di religiosità, farà nuovamente un passo verso le religioni del there, con una forte localizzazione della sacralità in luoghi.


3.IL CULTO E IL SACRIFICIO SECONDO PAOLO (Romani 12, 1-21)

3.1. Un «culto razionale»
Possiamo ora affrontare i principali passi paolini che riguardano il nostro tema. Prenderemo in esame solo le lettere sicuramente autentiche: la lettera ai Romani, la 1 e 2 lettera ai Corinzi, le lettere ai Galati, ai Filippesi, la Prima lettera ai Tessalonicesi e il biglietto a Filemone. Queste sette lettere sono state scritte nell’arco di un decennio, più o meno intorno alla metà degli anni Cinquanta del Isecolo. Quindi riflettono un periodo di tempo molto particolare e circoscritto a distanza di circa un ventennio dalla morte di Gesù e da parte di un personaggio che aveva una linea teologica e religiosa molto rilevanti non condivisa da altre correnti di seguaci di Gesù del medesimo periodo, si pensi ad esempio alla corrente testimoniata da Giacomo oppure alla più tarda tendenza rappresentata dal Vangelo di Matteo.

Cominciamo con il testo della Lettera ai Romani 12,1-21:

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito eperfetto. Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento, all’insegnamento; chi l’esortazione, all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.
La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò , dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete,dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male.


Nel versetto 1 si parla - nella traduzione italiana della Conferenza Episcopale Italiana - di «culto spirituale»: «Vi esorto […] ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale». In greco le parole «culto spirituale» sono “logikê latreia”. “Latreia” significa “culto, servizio”, ossia uninsieme di azioni compiute per onorare Dio. Il culto che Paolo propone è definito da lui stesso con l’aggettivo “logikê”, aggettivo che deriva dal sostantivo “logos”, che significa “parola”, “concetto”. Quindi Paolo scrive di un culto che deve essere “concettuale”, “intellettuale”, “razionale”. La traduzione “spirituale” non è corretta, perché in greco “spirituale” si sarebbe detto “pneumatikê”, un termine che altrove Paolo usa volentieri. Se Paolo ha qui evitato l’aggettivo “pneumatikos” (=spirituale) un motivo ci deve essere. Egli ha invece preferito l’aggettivo “logikê”, ossia “razionale”. Dunque, il culto di cui Paolo parla qui è un culto speciale, che deve essere “logikê”, “razionale”.
Ora questo culto razionale consiste nell’offerta del proprio corpo («Vi esorto […] ad offrire i vostri corpi»). La domanda quindi è: perché il culto deve consistere nell’«offrire i corpi»? L’affermazione sembra a tutta prima strana e sconvolgente. Il culto “ragionevole”, “razionale”, il culto per eccellenza, l’unico culto degno di Dio, consisterebbe nell’ «offrire il corpo». Quale sia il collegamento tra la materialitàdel corpo e la razionalità del culto, non è a prima vista chiaro. Paolo però offre una qualche spiegazione immediatamente dopo perché specifica che i corpi vanno offerti «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio».
I versetti che seguono sono, infatti, una spiegazione dell’affermazione iniziale di Paolo. Una spiegazione in due parti: dapprima Paolo afferma che il primo atto da compiere è quello di cercare di capire, discernere, quale sia la volontà di Dio (versetti 2-3):

«Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi (il «non valutarsi di più di quanto sia conveniente» è già una dimensione spirituale), ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato.

Poi, nei versetti 4-5, spiega cosa significhi offrire il corpo.
Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione (il tema del corpo ritorna quindi in questi versetti, dopo essere stato presente al v. 1) così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri (il discorso anche qui riguarda il corpo).

Cominciamo dai versetti 2 e 3. «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo»: la parola “secolo” traduce la parola greca “eone” (aiôn). L’“eone” è una realtà molto estesa spazialmente e temporalmente, piena di cose e di tempo. È un mondo-tempo. Un mondo che ha una determinata quantità di tempo per esistere. Non conformarsi a questo mondo, a questo eone, significa non avere la forma che gliuomini hanno normalmente in questo eone, e perciò bisogna “trasformarsi”, assumere una forma diversa da quella normale. Il termine greco usato è “metamorphoumai”, ossia “cambiare forma”. Paolo quindi non usa la metafora della ri-nascita e neppure quella della con-versione. Per Gesù e per Giovanni Battista la metanoia, la conversione era fondamentale. Il termine “conversione” (in greco “metanoia”) è invece presente nella Lettera ai Romani solamente unavolta (2,4); e poi tre volte in 2 Cor 7,9-10; 12,21. In Paolo, in sostanza, il concetto di conversione recede molto. Con lui, entriamo in un universo mentale assai differente, anche se non totalmente divergente. La predicazione di Gesù era molto più concentrata sull’indicare cosa bisogna fare per ubbidire a Dio e, su cosa succedese non lo si fa. Certo, Dio perdona i peccatori, ma comunque il credente deve seguire l’indicazione di Gesù.
Sembra che, secondo Paolo, l’uomo abbia due possibilità: assumere la forma dell’eone presente oppure assumere un’altra forma, «rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio». Sembrerebbe che, al termine di questa trasformazione, l’esito finale è che ogni persona ha la possibilità individuale di sapere ciò che è bene. Non si tratta di adeguarsi ad una legge esterna, che viene imposta dall’esterno, bensì di una coscienza individuale, personale, che nessuno impone dal di fuori, ma che la persona ottiene quando è riuscita a cambiare forma,«rinnovando la … mente, per poter discernere la volontà di Dio».
In greco il verbo «discernere» è “dokimazein”, che significa “saper scegliere, saper giudicare”; e «volontà» è “thélêma”. Dunque l’esito finale è che il singolo credente sa giudicare qual è la volontà di Dio. Non qualcuno dall’esterno indica al credente qual è la volontà di Dio. Egli stesso, da solo, riesce ad individuare quale sia la volontà di Dio.
Qual è la connessione tra questa trasformazione (il “cambiare forma”) e l’«offrire i vostri corpi come sacrificio vivente»?

3.2. Il sacrificio
In questo brano il linguaggio di Paolo è di carattere chiaramente sacrificale, perché egli invita i lettori «ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente». Offrire e sacrificio sono termini sacrificali inequivocabili. «Corpi» vedremo quale potente valenza sacrificale può assumere. In greco il termine «i corpi» è “ta sòmata”. Essi devono essere offerti come “thysìan”. La “thysìa” è l’animale sgozzato, dal quale, con un taglio sotto la gola, si fa uscire il sangue. I credenti devono essere una vittima vivente e devono offrire il proprio corpo come si offre il corpo sacrificale della vittima.
A questo punto è necessario comprendere quali siano le concrete azioni rituali sacrificali a cui Paolo fa riferimento.
Una antropologa cattolica, Mary Douglas (1921-2007), ha scritto un volume dal titolo: “Il Levitico come letteratura”, che esamina i sacrifici descritti nel libro del Levitico. L’autrice parte dal principio che il corpo è un simbolo naturale. Il sacrificio comprende vari atti. La scelta dell’animale da offrire. Deve sempre trattarsi di un animale dal corpo perfetto. L’animale viene poi portato al Tempio dopo essere stato sottoposto ad un insieme di atti preparatori e infine viene posto in vicinanza alla divinità per comprendere se la divinità accetta o meno l’offerta. Solo allora si procedere all’uccisione rituale dell’animale nei luoghi deputati, così come vi sono dei posti appositi in cui vengono buttate le viscere; l’animale viene poi smembrato seconda una sapiente conoscenza delle parti e delle membra del corpo sacrificale, le membra vengono poi disposte in un ordine molto preciso sull’altare e vengono poi bruciate. Nel caso non si tratti di un “olocausto”, cioè di un sacrificio in cui tutto il corpo dell’animale è distrutto dal fuoco, le parti che rimangono possono poi essere mangiate sia dal sacerdote che compie il sacrificio sia da chi lo offre.
Il sacrifico è un atto rituale molto comprensibile nella cultura contadina. Il contadino prende una delle sue bestie, va in pellegrinaggio insieme ad altri ad un santuario, presso il quale l’animale viene immolato sacrificalmente. L’animale viene ucciso, spellato, rotto in pezzi, poi viene bruciato e mangiato insieme al sacerdote. Il sacrificio in cui si mangia insieme è una delle tante forme di sacrificio, che è presente – insieme ad altre – anche nella Bibbia. Nel libro del Levitico un tale sacrificio, nel quale si mangia, viene chiamato “shelamim”, mentre il sacrificio in cui l’animale sacrificato è bruciato completamente alla divinità è detto “olocausto”.
Ai tempi di Paolo i sacrifici erano assai sviluppati, sia nell’ebrasimo sia nelle religioni tradizionali dei non ebrei, tanto da essere alla base dell’economia di una città. Vi erano svariate decine di animali che venivano uccisi ogni giorno. Ciò significa che l’allevamento, la vendita delle pelli, il mercato alimentare con la vendita della carne ruotavano intorno all’attività sacrificale. Dunque i sacrifici eranouna parte fondamentale del mondo antico. Paolo lo sapeva bene e la sua simbologia in questo passo è tutta sacrificale. Non bisogna spaventarsi nel vederla spuntare così fortemente nel momento in cui egli definisce quello che deve essere l’atto religioso per eccellenza dei seguaci di Gesù. Paolo infatti dice: «Offrite le vostre membra come un sacrificio vivente».

3.3. Un nuovo ordine cosmico
Come avveniva il sacrificio?
Innanzi tutto l’animale scelto veniva consacrato. Ciò significava che l’animale veniva dato alla divinità. Per far capire il concetto di sacro, uno studioso cattolico americano, Bruce Malina fa spesso il seguente esempio. Una persona è in un negozio a comprare un paio di pantaloni e li vede ancora tutti appesi in esposizione; accanto a lei si avvicina c’è un’altra persona, che pure vorrebbe scegliere dei pantaloni. Se la seconda persona tocca gli stessi pantaloni appesi che sta toccando la prima, quest’ultima inizia ad irritarsi, in quanto aveva già individuato quei pantaloni come oggetto della propria scelta. Tuttavia, poiché si trovano ancora appesi e non ha avuto ancora il tempo di prenderli in mano, sa che l’altra persona può toccarli senza commettere una indelicatezza.
Se invece la prima persona avesse già scelto un paio di pantaloni, li avesse già presi e magari appoggiati su un banco, il fatto che un’altra vada a toccare quegli stessi pantaloni, le provoca un’irritazione decisamente maggiore. Il motivo è che, con il prelevamento e lo spostamento sul banco, si è già in una fase successiva: quei pantaloni sono già stati scelti e presi anche se ancora in modo provvisorio.Infine, se l’altra persona afferrasse i pantaloni mentre la prima li ha già in mano e si sta dirigendo verso la cassa per pagarli e portarli via, allora scoppierebbe certamente un litigio. Il motivo è che, nonostante i pantaloni non siano stati ancora acquistati, essi tuttavia sono stati già sottoposti a tre fasi di avvicinamento o spostamento nell’ambito della futura acquirente.
Queste fasi corrispondono alle diversi fasi di sacralizzazione. “Sacralizzare” significa prendere da un ambito e portare in un altro ambito. Quando l’animale è stato “spostato” nell’ambito sacro, è sacralizzato; appartiene solamente a Dio e non può essere più toccato da chi appartiene ad un ambito profano o utilizzato per scopi profani.
Tutte le volte che si parla di sacrificio si suppone sempre un’operazione di consacrazione. A questo punto comprendiamo con maggiore chiarezza che Paolo ragiona con uno schema mentale sacrificale: posto che il mondo è radicalmente diviso in due sfere, quella sacra e quella profana, ogni persona appartiene necessariamente o ad un ambito oppure all’altro. Per tale ragione Paolo scrive: «Oassumete la forma del mondo o assumete quell’altra forma, vi trasformate». Ragionando in termini sacrificali egli sa che non esistono possibilità alternative.
Nel sacrificio ci sono vari altri elementi da prendere in considerazione. Mary Douglas annota una cosa stupefacente: quando si uccide l’animale, gli addetti al culto che lo uccidono non sono degli incompetenti, in quanto lo uccidono in una maniera estremamente raffinata. Ad esempio, stanno molto attenti a come esce il sangue dalla carcassa (ciò è ovvio, in quanto il sangue serve a purificare i diversiluoghi del tempio), ma pongono anche grande attenzione al grasso (altro elemento estremamente sacro come il sangue). Inoltre dividono l’animale con estrema attenzione alle parti anatomiche dell’animale. Ciascuna di queste parti ha, infatti, nelle diverse culture religiose un particolare significato simbolico.
Finché le parti dell’animale stanno dentro di esso, ovviamente mantengono una posizione fisiologica (ad esempio, la gamba sta sotto, mentre la testa sta sopra). Ora nel sacrificio si verifica un’operazione particolare, lo smembramento del corpo dell’animale in parti dopo. Questo smembramento è un’operazione distinta dall’uccisione vera e propria e ha un significato molto importante. Già solo da questo fatto si comprende subito che il sacrificio non consiste solo nell’uccisione di un animale. Mary Douglas osserva che, dopo che l’animale è stato smembrato, le varie parti debbono essere poste sull’altare pere essere poi bruciate. Ma non nell’ordine che avevano all’interno del corpo dell’animale, bensì secondo un nuovo diverso ordine. Questo ordine diverso ha un significato enorme, in quanto rappresenta il nuovo ordine cosmico che Dio vorrebbe fosse realizzato sulla terra e nella società. Lo smembramento dell’animale e il suo rimembramento sull’altare significano che le membra del corpo assumono una posizione diversa quando sono sull’altare.
L’idea di un ordine cosmico che Dio vorrebbe nel mondo e che non esiste nasce dalla constatazione che il mondo è decisamente assai disordinato. Le grandi religioni partono tutte dal principio che ci sia una frattura tra il cielo e il mondo, tra la volontà di Dio e il mondo che va male. Perciò vengono i profeti – fondatori delle grandi religioni – a mettere in ordine e dunque a riparare la frattura, per realizzare un grande ordine cosmico, che si dovrebbe realizzare nel mondo e che nell’azionesacrificale è simboleggiato dal modo con cui le parti dell’animale sono poste sull’altare.
Allora si capisce bene che l’atto sacrificale è un atto estremamente complesso, che tuttavia era comprensibile agli uomini del tempo di Paolo e a Paolo stesso. E si capisce meglio anche la frase dell’Apostolo che esorta i cristiani ad «offrire i vostri corpi come sacrificio vivente». Questa frase significa mettere sull’altare, ossia sulla legna che dovrà poi essere incendiata, i nostri corpi ma in modo che i nostri corpi assumano una forma diversa da quella normale, una forma, un ordine cioè che è quello voluto da Dio e che tale si realizza solo quando i corpi sono offerti sacrificalmente, dopo l’uccisione rituale. È questa la metafora potentissima che soggiace al testo paolino. Non si tratta ovviamente di uccidere i fedeli perché possano assegnare un ordine diverso alle membra del proprio corpo collocandolesull’altare. L’operazione di smembramento e rimembramento deve essere fatto da vivi. E questa operazione che diventa un culto che è - sì - sacrificale, ma anche «razionale».
È razionale, poiché, tramite un riordinamento del proprio corpo, i credenti devono trovare all’interno della propria ragione la comprensione della volontà di Dio. Tutto ciò avviene attraverso un cambiamento di forma del corpo. Non stupisca questa concentrazione sul corpo, perché a ben vedere tutto ciò che riguarda l’uomo avviene nel corpo. Come oggi siamo anche più preparati a comprendere. Come si vede, si tratta di un testo paolino complesso.
Abbiamo interpretato la metafora dell’«offrire i vostri corpi come sacrificio («immolazione») vivente» nel senso che il corpo deve essere ricollocato su un altare. La funzione che adempiva l’altare, era quella di permettere un rimembramento, una ricollocazione delle diverse membra del corpo in un diverso ordine rispetto a quello che avevano nel corpo dell’animale. Ma questa trasformazione, ricollocamento delle parti del corpo avveniva per un animale morto. Per i credenti viventi invece la ricollocazione, il rimembramento, il diverso ordine delle parti del corpo avviene non sull’altare, ma nel “corpo di Cristo”, un concetto paolino di estrema importanza. Ovviamente il corpo di Cristo non esistefisicamente da nessuna parte: è una metafora; questo corpo di Cristo è qualcosa che c’è, ma non si vede. Ora è proprio il corpo di Cristo che permette la trasformazione, il cambiamento di forma l’utilizzo diverso del corpo, il rimembramento dopo lo smembramento. Si tratta di un passaggio radicale del modo in cui il credente deve viver la propria realtà corporea.
La realtà corporea non è mai autonoma: può essere vissuta secondo l’organizzazione del mondo oppure secondo l’organizzazione del corpo di Cristo. Sembra che Paolo non preveda nessun altro modo di ragionare. Ciò significa che il passaggio all’essere dentro al corpo di Cristo, concretamente indica qualcosa che ha a che fare con una morte, con una negazione di desideri, di tendenze, di collocazione personale del mondo. Il credente non si deve collocare in un modo, ma in un altro.
Il problema è quello di riuscire a capire quale sia la volontà di Dio, cosa Dio vuole dal credente, come Egli vuole che il credente si collochi nella nuova maniera, smettendo di collocarsi in una maniera considerata errata. Dunque non si tratta di un insieme di norme a cui il credente deve adeguarsi, bensì è qualcosa di più complesso.
I drammi gravi esistenziali che ciascuno deve affrontare nella propria esistenza dipendono, sembra dire Paolo, dalla difficoltà a capire dove ciascuno si colloca. La soluzione che paolo indica sembra essere quella di riuscire a trovare la propria giusta collocazione. E’ nel passaggio dal distribuire il corpo in una certa maniera all’usarlo in un’altra maniera, che sta tutto il problema che Paolo sta enunciando con parole che a noi sembrano così difficili, in quanto la pratica rituale e la simbologia sacrificale non ci appartiene più.


4. IL CORPO COME TEMPIO DI DIO (2 Corinzi 3,17-4,4)

4.1 Il seguace di Gesù immagine di Dio
La lettura del brano della Lettera ai Romani ci permette di iniziare a capire perché Paolo parla delle membra. «Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo» (vv. 4-5): entrando in Cristo, le membra vengono distaccate dal corpo e riattaccate in un altro corpo, che è il corpo di Cristo, nel quale si otterrà la capacità di giudicare da soli la volontà di Dio.
Paolo parla di metamorfosi: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi» (v. 2). Il mondo ha uno schema, una struttura, una organizzazione. I seguaci di Gesù non devono organizzarsi secondo lo schema di questo mondo, ma devono cambiare forma, dunque effettuare una metamorfosi. Secondo Paolo, ciòprodurrebbe questo rinnovamento dell’intelletto (in greco “nous”).
Vediamo ora come questo schema mentale ci permette di comprendere un brano della Seconda Lettera ai Corinzi : 2 Corinzi 3,17-4,4.
«[3,17]Il Signore [Gesù] è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. [18]E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati (ecco qui la trasformazione, ossia come è possibile per i cristiani trasformarsi) in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.
[4,1]Perciò, investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d’animo; [2]al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio.
[3]E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, [4]ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula (qui ritorna il problema della mente), perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio».
«Cristo è immagine di Dio». Paolo predica il Vangelo, che è la presentazione di Cristo «che è immagine di Dio». Colui che ascolta il Vangelo riceve l’immagine di Cristo, la quale, come in uno specchio, si riflette dentro di lui. Dunque ,chi riceve il Vangelo dentro di sé ha l’immagine di Cristo dentro di sé, che viene immessa dentro al suo corpo, il quale riflette, come uno specchio, tale immagine di Cristo,che l’annunciatore del Vangelo ha presentata.
«Il Signore [Gesù] è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore»: la gloria di Cristo deve riflettersi ed imprimersi dentro ad una parte interiore del credente, che è una specie di specchio, per cui Cristo è riflesso dentro al credente. Tuttavia, ilSignore Gesù, essendo spirito, ha una capacità particolare: opera, quando viene messo dentro, fa succedere qualcosa dentro al credente. Infatti, il credente viene trasformato in quella medesima immagine, cambia forma.
«Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore»: «la gloria del Signore» è la qualità divina, è lo splendore di Dio. Paolo immagina Dio come qualcosa di splendente, come una specie di esplosione di energia luminosa, che in greco si dice “doxa” e che in italiano è tradotto “gloria”. Secondo Paolo, il Signore Gesù è il Signore della gloria (1 Cor 2,8), è pieno di tale sostanza divina splendente, che si specchia dentro i credenti e che, in qualche modo, trasmette questi frammenti di potenza divina dentro al corpo dei credenti, imprimendoveli come dentro ad uno specchio.
Così i credenti si trasformano: «e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine», ossia nell’immagine di Dio che è Gesù Cristo. I credenti diventano immagine di Dio. Pertanto, il Vangelo non è una trasmissione di dottrina, bensì è opera trasformazione interiore reale. La Parola di Dio non è semplicemente un “flatus vocis”, ma è una potenza. Non è un qualcosa per cui si rimane come prima, bensì è una potenza divina che trasmette e trasforma il credente.
«E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria (è un processo spirituale che va per fasi: «di gloria in gloria»), secondo l’azione dello Spirito del Signore»: quindi l’annuncio del Vangelo non è minimamente una comunicazione di parola, bensì è una comunicazione di energia soprannaturale, in cui risiede sacramentalmente una forza efficace della presenza del soprannaturale.
Certamente, «se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio» (vv. 3-4). Però ciò riguarda l’intelletto ed è per tale motivo che Paolo scrive che è una “logikê latréia”, è un «culto intellettuale, razionale».
Possiamo ora rileggere Romani 12 e comprenderlo meglio: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto razionale. Non conformatevi alla mentalità (allo schema) di questo secolo (di questo eone), ma trasformatevi (bisogna subire una metamorfosi) rinnovando la vostra mente (il vostro intelletto), per poter discernere (per poter valutare quale sia) la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,1-2).
Quindi Paolo sembrerebbe affermare che esistono due realtà, profondamente diverse, quella dell’eone di questo mondo e quella della realtà dello Spirito. E all’uomo sono possibili due soluzioni: quella di avere la forma del mondo, dell’eone presente, oppure quella di avere la forma dello Spirito. L’uomo può avere o la forma del mondo o la forma di Dio. Entrambe implicano un qualche mutamento. La trasformazione ad immagine di Dio si può ottenere attraverso la predicazione del Vangelo, che è l’operazione per la quale l’immagine di Dio, che è Gesù Cristo, si riflette nell’uomo.
È come si trova scritto in Genesi: «Maschio e femmina li creò, a immagine di Dio li creò» (cf. Gen 1,27). L’uomo dovrebbe essere immagine di Dio, ossia idolo di Dio, statua di Dio. Infatti le statue sono degli idoli, delle immagini di qualcosa. L’uomo dovrebbe essere idolo di Dio, ossia chi vede l’uomo dovrebbe poter dire che è Dio. Cristo è l’immagine di Dio. Secondo Paolo, i credenti devono trasformarsi, diventando immagine di Cristo e, quindi, immagine di Dio nel proprio intelletto.
La frase citata come sottotitolo del nostro incontro è presente in due punti di 1 Corinzi; infatti è ripetuta due volte in due modi diversi in 3,16-17 e in 6,12-20.
In 3,16-17 si legge: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi». Il tempio è il luogo in cui abita la divinità, e il tempio è il corpo dei credenti.
In 6,12-20 si trova: «[12]‘Tutto mi è lecito!’. Ma non tutto giova. ‘Tutto mi è lecito!’. Ma io non mi lascerò dominare da nulla (probabilmente Paolo stesso sosteneva: «In Cristo tutto mi è possibile»; ma i cristiani di Corinto interpretavano questa idea inmaniera sbagliata). [13]‘I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!’ (probabilmente anche Paolo stesso lo diceva). Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo (sembra che alcuni cristiani di Corinto pensassero che, se tutto è lecito, allora è possibile fare tutto ciò che si vuole. Se «il ventre è per i cibi e i cibi per il ventre», anche gli organi sessuali sono per il sesso e quindi si ipotizzava una libertà sessuale assoluta). [14]Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.
[15]Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? (evidentemente a Corinto alcuni cristiani ritenevano che fosse lecito andare con le prostitute. Costoro radicalizzavano il punto della libertà assoluta, non riconoscendo più la morale tradizionale ebraica o conformistica pagana) Non sia mai! [16]O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. [17]Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. [18]Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. [19]O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi (i cristiani non appartengono a loro stessi, perché sono entrati nel recinto sacro: sono stati “consacrati”, come i pantaloni che sono stati comprati dell’esempio precedente)? [20]Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!».
L’uomo non appartiene più a questo eone. L’uomo di Paolo o appartiene a questo mondo, o appartiene a Dio; e ottiene libertà unicamente se appartiene a Dio.
«Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo?»: il problema è che il corpo è «tempio dello spirito Santo». Il culto avviene soltanto nel corpo e, d’altra parte, l’uomo non ha che il corpo; non ha nient’altro, se non il corpo. L’uomo è un essere corporeo.
«Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? (…) Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!»: vi è una grande insistenza di Paolo sulla santità e il corpo.

4.2. Resi santi per opera di Dio
Come si chiamavano i membri della “ekklesìa”, della comunità, dell’assemblea secondo Paolo? Nelle lettere paoline non si trova mai il termine “cristiani”, ma l’Apostolo usa due termini molto più significativi: “i santi” e “i fratelli”.
Cosa significa “i santi”?
Nel saluto iniziale delle lettere ai Romani, ai Corinzi e ai Filippesi, Paolo si rivolge ai membri delle chiese (assemblee, “ekklesìai”) chiamandoli “i santi”. Il fatto che sia questo l’appellativo che appare nel saluto indica che, per Paolo, la santità è una qualità distintiva primaria dell’identità di chi appartiene all’ekklesìa. È importante ilfatto che, in tutti i quattro casi di saluto citati, il sostantivo “i santi” sia preceduto dal participio passato “chiamati”.
In Paolo, il termine “i santi” non ha lo stesso significato che ha oggi, ossia di chi “fa cose buone”, per cui i cristiani si dividono in due gruppi: i santi e coloro che non lo sono. Per Paolo, tutti i cristiani sono “santi”. Non perché siano santi moralmente, ma perché sono stati santificati dalla presenza di Dio nel battesimo e perciò laloro definizione è “i santi”. Sono “santi”, perché la santità è stata loro regalata da Dio ed è stata impressa in loro.
Da questo punto di vista è fondamentale un brano di 1 Tessalonicesi: «Il Dio stesso della pace vi santificherà (anche: «vi renderà sacri») e tutto integro vi santificherà totalmente e tutto integro il vostro spirito (“pneuma”) e l’anima e il corpo siano custoditi in modo irreprensibile nella venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Colui che vi ha chiamati è fedele, egli lo farà » (1 Ts 5,23-24, traduzione letterale). Quindi tale santificazione penetra tutto l’essere dell’uomo.
Ricordiamo che, per Paolo, nell’uomo esistono il “pneuma” (lo spirito), la “psychê” (l’anima) e il “sôma” (il corpo). La dimensione “psichica” è quella dei ragionamenti e non è la più importante; ce n’è una misteriosa, più profonda,ossia il “pneuma”. Tuttavia, la santificazione non riguarda solamente il “pneuma”, ma pure la “psichê” e riguarda soprattutto il “sôma”, il corpo.
La santificazione è chiaramente opera di Dio e non dell’uomo. Quindi il culto – l’unico culto di cui Paolo pensa si possa parlare – è quello che avviene dentro il corpo di ciascuno, grazie all’intervento soprannaturale di una forza soprannaturale, che imprime una specie di immagine di Dio, la quale può trasformare l’uomo e renderlo in grado di giudicare da solo, proprio perché giudica in base allo stessointelletto di Cristo. Comunque, si tratta di un processo lento, di una metamorfosi che si può manifestare progressivamente.
Ecco spiegato perché le ekklêsìai non erano luoghi in cui ci fosse una presenza divina particolare esterna, con degli armadi o con dei tabernacoli. La religiosità di Paolo non è una religiosità del santuario, non è un culto con il tempio. Non è una religiosità del “There”, di un “là” lontano dal singolo. Quello che Paolo propone è unculto senza santuario, perché il culto razionale può avvenire solo all’interno dell’uomo, e provoca una trasformazione del corpo, una trasformazione radicale perché incide dentro l’uomo e nella sua fisicità e non riguarda qualcosa di lontano, di separato, in un tempio o in un’abitazione. Siamo chiaramente all’interno di quella che è una religione dell’anywhere, dell’ovunque, come ci ha insegnato JonathanSmith.

mercoledì 12 agosto 2009

La controversia sulla trinità

Nel quinto secolo la Cristianità aveva conquistato
il paganesimo ed il paganesimo aveva infettato l'umanità" -- Macaulay


Precedenti Storici dell’odierno dibattito sulla preesistenza

Il problema della preesistenza (e quindi della Trinità), ed il suo effetto sulla natura del Salvatore ha una lunga storia nella Chiesa. Negli ultimi anni ha cominciato a farsi strada nelle menti di alcuni preminenti studiosi biblici un dubbio: se quello che abbiamo ereditato dai Padri della Chiesa fa giustizia all'unitario monoteismo professato dagli Apostoli.1 Si sono anche domandati quanto il Gesù dei credi sia considerato una vera persona umana.2 Un abbozzo storico aiuterà a preparare la scena per il corrente dibattito. Prima di tutto notiamo che Giustino Martire (c. 114-165) è stato uno dei primi scrittori post-biblici a sviluppare la dottrina della preesistenza di Cristo, sebbene riconoscesse che non tutti i suoi amici credenti condividessero la sua veduta. Egli confessò all'Ebreo Trifo che:

“Gesù può essere ancora l'Unto di Dio, benché non potrei provare la Sua
preesistenza come Figlio di Dio che ha creato il tutto... E benché non potrei provare che sia preesistito, dovrebbe essere giusto dire che soltanto in questo aspetto si potrebbe pensare che io sia stato ingannato, e non per negare che Egli è il Cristo... e benché sembri che Egli fosse nato uomo dagli uomini... Poiché ci sono alcuni... della nostra razza che ammettono che Egli sia il Cristo, mentre lo considerano un essere completamente umano; con i quali io non sono d’accordo.”
3

Trifo, parlando come uno che conosce la speranza Ebraica del Messia, aggiunge la sua voce alla voce di quelli che "pensano che Gesù fosse un uomo, ed essendo stato scelto da Dio è stato unto da Lui, Cristo." Egli considera questa affermazione un'opinione più probabile di quella di Giustino. Benché Trifo qui sembra riferirsi ad una cristologia d'adozione (i.e. Gesù divenne Figlio di Dio soltanto al momento del battesimo), distinta dalla Cristologia di Luca (Gesù è Figlio di Dio per virtù della Sua miracolosa concezione; Luca 1:35), sembra chiaro dal suo dibattito con Giustino che credere nella preesistenza non fosse ancora il dogma universale che più tardi è diventato. Ed è anche bene notare che “Giustino non ha mai detto che il Padre, il Figlio e lo Spirito costituiscano un Dio, come divenne tradizione negli anni successivi. A rigore di termini egli era un unitariano, come lo erano generalmente i Padri ortodossi del suo tempo: vale a dire che essi credevano che il Figlio fosse un Essere distinto dal Padre, ed inferiore a Lui.”4 Una ulteriore indicazione della disputa sul Vangelo di Giovanni e sulla preesistenza è trovata negli scritti di Padre Epifanio della Chiesa Greca (c. 310- 403), il cui interesse era di identificare l'"eresia". Egli si riferisce ad un gruppo di credenti Gentili, gli Alogisti (c. 180) che erano stati accusati di respingere il Vangelo di Giovanni. Joseph Priestley ha azzardato l'opinione che gli Alogisti erano stati criticati da Epifano perché “avevano spiegato il 'logos’, nella introduzione del Vangelo di Giovanni, in modo diverso dal suo”5 Così il cruciale argomento sul significato del logos nel prologo di Giovanni cominciò ad essere causa d'incertezza. La soluzione della domanda sulla natura della preesistenza in Giovanni, che favoriva la credenza in un Figlio preesistente, ha causato un profondo e duraturo effetto su quello che divenne l'ortodossia Cristologica delle dottrine religiose. La dottrina della Trinità non può essere sostenuta a meno che non si possa dimostrare che Gesù sia preesistito come l'eterno Figlio di Dio prima della Sua nascita. Proteste contro una particolare lettura di Giovanni, che istituisce tensione fra lui e la veduta Sinottica di Cristo, emergono ancora una volta.

Dinamico Monarchianismo

Entro poco tempo una reazione è sopravvenuta contro l'evidente minaccia al monoteismo proposta dall'introduzione di un "secondo Dio" nella forma di un preesistente Cristo. Prima di diventare cristiani Giustino ed altri scrittori di quei primi tempi erano stati imbevuti di filosofia. È stato facile per loro abbandonarsi a speculazioni e quindi leggere il prologo di Giovanni come se fosse in armonia con la veduta Greca dell'universo. Gli Apologeti del secondo secolo erano più familiari con la cosmologia Platonica che con la Soteriologia biblica, e per conseguenza hanno forzato la Dottrina Cristiana ad adattarsi ad una forma filosofica Procustiana. Essi concepivano Dio come una essenza al di sopra ed al di là di qualsiasi altra, ineffabile, incomunicabile, impassibile, esaltata al di sopra di ogni attività, tempo o spazio. Questo Dio Platonico ci ha mandato la Parola... Attraverso un atto della Sua volontà, per essere un intermediario per la creazione, rivelazione e redenzione. La dottrina interpreta il Figlio come preesistente.6 La reazione avvenne quando un gruppo di credenti protestò che la Divinità è strettamente formata da un'unica Persona – una "monarchia". Teodoto il conciapelli è stato quello che ha sollevato la questione sull'umanità di Gesù a Roma nel 190-200. Facendo appello all'affermazione strettamente monoteistica di Paolo in Timoteo 2:5, egli manteneva che Gesù non aveva diritto ad essere chiamato Dio. Il suo successore, un altro Teodoto, ha continuato a sostenere la veduta che Gesù era un uomo concepito supernaturalmente. Circa trent'anni dopo Artema, avendo la stessa "dinamico-monarchianismica" credenza della Divinità ha contrastato il vescovo Romano sostenendo che l'antica Cristologia, che i monarchiani difendevano, era stata distorta dalla Chiesa ufficiale.

Paolo di Samosata

La questione sulla natura della preesistenza è venuta a galla in seguito, nella teologia di Paolo di Samosata, vescovo di Antiochia, nella metà del terzo secolo. Benché Paolo fosse stato ufficialmente condannato per eresia nell'anno 268 D.C., scrittori moderni hanno apprezzato la forza della sua protesta contro l'"ortodossia". “La nostra teologia è stata gettata in una forma scolastica“, scrisse l'arcivescovo Temple. "[Noi abbiamo bisogno di e siamo progressivamente forzati in una teologia basata sulla psicologia.] La transizione, ho paura, non avverrà senza grande dolore; ma niente la può impedire." Temple continuò dicendo che "noi non dobbiamo dimenticare che c'era stato un precedente tentativo fatto da Paolo di Samosata. Egli vide serie difficoltà nella formulazione della dottrina della Chiesa riguardo al Cristo [purché questa fosse espressa in termini di sostanza, e formulata in termini di volontà."]7 Un'altra persona che fa parte di questo dialogo, il Professore Bethune-Baker, ha espresso la sua convinzione che "Paolo di Samosata aveva come sostegno una genuina tradizione storica, alla quale, nella nostra ricostruzione dottrinale, dobbiamo ritornare."8 Loofs, lo storico della Cristologia, è venuto alla conclusione che Paolo di Samosata "è uno dei più interessanti teologi del periodo anti-Niceno, perché egli fa parte di una tradizione che ha le sue radici in un periodo anteriore al diluvio di Ellenismo che si è riversato sulla Chiesa."9 Quello che Paolo di Samosata sapeva del "logos" era, che non aveva un'esistenza indipendente da Dio; in altre parole il Figlio non era in esistenza prima del concepimento di Gesù. Una tanto diffusa familiarità con questa stessa tradizione è insolitamente confermata da una casuale osservazione di Origene nel suo commentario su Giovanni. Egli asseriva che c'erano "numerosi Cristiani che usavano il 'logos' soltanto come soprannome per il preesistente Cristo (senza la sua implicazione filosofica e soltanto nel senso di espressione del Padre) che venne ad esprimersi in un Figlio quando Gesù fu concepito." (prg. con Ebrei 1:1, 2). Essi non hanno ascritto al “logos” un'ipostasi o individualità separate.10 È interessante che Tertulliano (c.155-230) traduca “logos” con sermo, "parola". E poi egli nota che "è una semplice consuetudine della nostra gente dire [di Giovanni1:1] che la parola di rivelazione fosse con Dio." Egli da parte sua insiste che “logos” dovrebbe essere inteso come "qualunque cosa tu pensi" e "parola" come "qualunque cosa tu percepisci." Riferendosi ad un tempo prima della creazione, egli aggiunge che "benché Dio non avesse ancora mandato la Sua Parola, Egli l’aveva con ed in ragione dentro di Lui."11 È chiaro che la "parola" non fosse ancora intesa come il Figlio eternamente preesistente, come nella più tarda ortodossia. Green ammette che la dottrina della Trinità (non la Trinità formulata più tardi) di Paolo di Samosata era "tanto biblica quanto quella di Origene, ed era basata su una ben fondata e molto diffusa Tradizione della Chiesa."12

Ed egli continua con questa eccezionale asserzione che:

"Non si puo enfatizzare abbastanza il fatto che la tradizione Antiochena non sapeva alcunché del termine Figlio come applicabile ad un preesistente Logos, in qualunque senso usato. Con la parola 'Figlio' essi hanno sempre inteso il Cristo della storia..."

Loofs osserva che il trasferimento della concezione da Figlio ad un preesistente Logos per opera dei teologi Alessandrini è stato il più importante fattore nell'istituzione del carattere pluralistico della dottrina Cristiana.13 Il parlare di Gesù come il preesistente Figlio di Dio, è stato l'espediente fatale che ha rimosso il Salvatore dalla categoria di essere umano ed ha iniziato una serie di spaventose dispute sul Cristo. Quando il principio di Gesù ha cessato di essere alla sua concezione, speculazioni sono cresciute in disordinata confusione, la Divinità divenne pericolante e Gesù cessò di essere l'"uomo Messia" profetizzato dalla Bibbia Ebraica. Una ricostruzione che limita il termine "Figlio" a Gesù come il Cristo umano, sembra abbia una salda base nella storia della chiesa primordiale, e nella Bibbia stessa. È incoraggiante trovare che William Temple abbia un intendimento più autentico sulla natura della preesistenza nel Vangelo di Giovanni: "L'identificazione Giovannina di Cristo con il 'logos' originariamente significava, negli scritti dell’evangelista, «voi credete in un unico 'concetto fondamentale' dell'universo, ma non conoscete il suo carattere, noi lo conosciamo; è stato fatto carne nella persona di Gesù di Nazareth»"14
Il compianto famoso studioso della Bibbia, F.F. Bruce, sembra intrattenga una veduta della preesistenza che dà adito alla domanda, se in Giovanni 1:1 il Figlio era preesistente. Egli dice: "Sulla questione della preesistenza, si può almeno accettare la preesistenza della parola eterna o dell'eterna sapienza di Dio, che ha preso sembianze umane in Gesù. Ma non è troppo chiaro se alcun scrittore del Nuovo Testamento abbia mai creduto in una cosciente separata esistenza di una 'seconda Persona Divina' prima del Suo concepimento."15
La franca deduzione di Bruce è molto rivelante. Se nessun scrittore del Nuovo Testamento ha mai creduto che il Figlio di Dio fosse una preesistente seconda persona divina, è bene concludere che nessun scrittore del Nuovo Testamento abbia mai creduto nella Trinità.

Fotino ed i Fotiniani

L'obiezione sulla preesistenza di Gesù emerge un'altra volta con il vescovo del quarto secolo Fotino di Sirmium. Il suo intendimento di Gesù era probabilmente identico a quello di Paolo di Samosata. Fotino manteneva che Gesù divenne Figlio alla Sua soprannaturale concezione. Diversi concili lo condannarono perché sosteneva che il Figlio esistesse prima di Maria soltanto nella prescenza e nel proposito di Dio. Lo storico della chiesa, Sozomen, descriveva un Fotino che credeva che "C'era soltanto un Dio Onnipotente, attraverso la Cui parola tutte le cose vennero in esistenza." Inoltre Fotino non avrebbe ammesso che "la generazione ed esistenza del Figlio fossero da prima di tutte le età; al contrario egli asseriva che Gesù proviene da Maria." La tradizione che nega la letterale preesistenza del Figlio è sopravissuta in Spagna e nella Gallia Meridionale quasi fino al settimo secolo. Fotiniani ed altri seguaci del Vescovo Bonosus, che anche lui negava la preesistenza di Cristo, sono stati condannati come eretici dal Sinodo di Toledo nel 675.16

Michele Servetus ed Adamo Pastor

Lo Spagnolo Michele Servetus (1511-1553) è stato uno dei più articolati esponenti della Cristologia anti-Nicena. La sua basilare tesi era che la caduta della chiesa datava dal disastroso intervento di Costantino negli affari della dottrina Cristiana a Nicea. Egli sosteneva che, accettare Gesù come il Messianico Figlio di Dio dovrebbe essere la base per una ricostruzione Cristologica. Il Figlio, egli reclama, ha cominciato ad esistere alla sua concezione in Maria. Egli ha poi dismesso come Greca speculazione filosofica tutto quel parlare di una premondana "generazione eterna" di un Figlio. Egli considerava lo Spirito Santo come la potenza e la personalità di Dio estese alla creazione, non una distinta persona dentro la Divinità. Servetus mette in rilievo che si può pensare del Figlio come eterno soltanto come l'intenzione di Dio di generarlo in un futuro momento nella storia.17 Come è ben saputo, Servetus ha pagato per la sua "eretica" Cristologia con la sua vita. È stato bruciato vivo a Ginevra, dietro investigazione della Chiesa Cattolica Romana ed del riformatore Protestante, Giovanni Calvino, il 27 Ottobre 1553. Questo tragico episodio è uno spaventoso richiamo alla terribile violenza e fuorviato zelo che ha marcato certe forme "magistrali" di professante Cristianità.18
La questione della preesistenzafu un fatto critico tra gli Anabetisti Olandesi del sedicesimo secolo, nella disputa tra Menno Simons ed un collega Anabetista, Adamo Pastor (c. 1500-1570). Un monaco, originariamente chiamato Rodolfo Martens, Pastor era senza dubbio "il più brillante uomo e scolaro di tutta la comunità Anabetista Olandese del suo tempo."19 La Cristologia di Pastor prevede la contemporanea indagine sulla natura della preesistenza, ed una simile Cristologia era emersa nel lavoro di due altri teologi Olandesi del ventesimo secolo, Hendrikus Berkhof e Ellen Flesseman.20 Nel 1547 Pastor rinnegò il Trinitarismo ortodosso a Emdem e fu immediatamente scomunicato da Simons e Obbe Philips. Noi vediamo, dal lavoro di Pastor intitolato Differenza Tra Dottrina Vera e Dottrina Falsa,21 come egli rinnegava la preesistenza di Cristo. Non è sorprendente che Sandius ed altri anti-trinitari scrittori Polacchi si riferissero a Pastor come "l'uomo nella nostra patria che sia stato il primo ed abile scrittore in quella direzione," i.e. la veduta che la "parola" di Giovanni 1:1 non fosse una persona, ma la parola o la volontà cretiva di Dio personificata.22 H. E. Dosker osserva che "Quando leggiamo Adamo Pastor dovremmo stropicciarci gli occhi per vedere se siamo svegli o se stiamo sognando. Quello che dice è così sorprendentemente moderno che disorienta il lettore. Ci risvegliamo alla realtà che non tutta la modernità ... è moderna."23 Pastor condanna la dottrina di Menno e Melchior Hoffman che dice che la parola è passata attraverso Maria senza avere assolutamente nessun contatto con il suo corpo. Questo farebbe di Maria una specie di madre surrogata che non ha in realtà concepito Gesù come la Scrittura dice. Tale Cristologia a malapena può evitare l'accusa di Docetismo e Gnosticismo. Pastor insiste che Cristo è veramente umano ed il discendente di Davide, supernaturalmente concepito. La sua veduta sembra coincida bene con quella che Raimondo Brown descrive come la stessa veduta di Luca e Matteo. Questo è certo che gli Anabetisti Polacchi un secolo dopo hanno dichiarato Pastor come il primo uomo che abbia chiaramente articolato le sue vedute sulla preesistenza. Senza dubbio, Adamo Pastor ha anticipato la moderna discussione sull'umanità di Gesù quando ha definito il "logos" non una persona preesistente, ma l’espressiva attività propria di Dio che esprime tutta la Sua energia nel creare, nel rivelare la verità e nel generare il Messia.24

Giovanni Biddle, Padre degli Anti-Trinitari Inglesi


Giovanni Biddle (1615-1662) educato nei classici e nella filosofia a Oxford, dopo aver cominciato a mettere indubbio l'accettata dottrina della chiesa, s'imbarcò in una imparziale ricerca delle Scritture. Dal 1641 al 1645 egli fu preside della Scuola Crypt, Gloucester. È stato durante questo periodo che il suo rigoroso studio del Nuovo Testamento gli causò il di disamoramento della dottrina sulla Trinità. La questione era di una importanza così seria che i magistrati diramarono un ordine per il suo arresto ed imprigionamento. Dopo un dibattito con l'Arcivescovo Ussher (di fama cronologica), Biddle ha riassuntato il risultato del suo studio sulla Cristianità originale: "I Padri dei primi due secoli, o pressappoco, quando i giudizi dei Cristiani erano ancora liberi, e non resi schiavi dalle determinazioni dei Concili, hanno asserito che il Padre è assolutamente un Dio." Biddle ha protestato che il linguaggio filosofico Greco dei credi era stato "innanzituttomacchinato astutamente da Satana nelle teste dei Platonisti, per pervertire la venerazione del vero Dio." Il parlamento non perse tempo ad ordinare che il lavoro di Biddle venisse bruciato. Nel 1648 il governo Britannico ha passato quella che è stata chiamata l'"Ordinanza Draconiana", per la condanna a morte dei "Blasfemi ed Eretici," intesa al reclamo di Biddle che la dottrina Trinitaria introduceva " tre Dii, e così sovvertiva l'Unità di Dio, cosìfrequentemente impresso nella Scrittura." Il Credo di Atanasio non risolve il problema: "poiché chi (se perlomeno s’azzarda a far senso della propria religione) non s'accorge che questo è tanto ridicolo, quanto il dire che Pietro è un Apostolo, Giacomo è un Apostolo, Giovanni è un Apostolo, ma non sono tre Apostoli ma un solo Apostolo?" Nel 1655 Biddle è stato incarcerato nella Prigione Newgate per "aver rinnegato publicamente che Gesù Cristo non era l'Onnipotente ed Altissimo Dio." I sostenitori di Biddle hanno immediatamente messo in risalto che tutti i Cristiani dovrebbero esser Considerati colpevoli e condannati a morte, secondo l'ultimo attentato del Parlamento di sopprimere l'anti-Trinitarismo, poiché "chi dice che Cristo è morto, dice che Cristo non è Dio, poiché Dio non può morire. Ma ogni Cristiano crede che Cristo è morto, quindi ogni Cristiano dice che Cristo non è Dio." Una petizione per lo scarceramento di Biddle lo descrive come "un uomo, che benché non sia d’accordo con noi su diversi argomenti di fede, tuttavia a causa del suo diligente studio della Santa Scrittura, della sua ragionevole e pacifica conversazione, di cui alcuni di noi ha una conoscenza intima e buona, noi non possiamo far altro che esaminare ogni possibilità capace della libertà promessa dal Governo." Benché avesse soltanto 47 anni, Biddle aveva già passato dieci anni della sua vita in prigione per aver insistito che Dio era una sola Persona. Egli morì in prigione nel 1662, "una vittima dell'odio teologico e delle sudice condizioni del posto in cui egli era alloggiato." Un biografo simpatizzante scrisse di Biddle "grande zelo per promuovere santità di vita e buone maniere; poiché questo è stato sempre il suo fine ed intento in tutto quello che ha insegnato. Egli ha valutato le sue dottrine non per speculazioni ma per pratica."25

Giovanni Milton, Sir Isacco Newton, Giovanni Locke

Il famoso poeta Inglese Giovanni Milton (1608-1674) é meno conosciuto poiché il suo Trattato della Dottrina Cristiana, i cui concetti, dopo la sua morte, per 150 anni rimase nascosto al publico. Riscoperto nel 1823, il trattato dimostrava gli argomenti biblici di Milton contro il Trinitarismo ortodosso. Milton desiderava soltanto:
"Comunicare il risultato delle mie indagini a tutto il mondo; se, e Dio è il mio testimone, è con un sentimento di amicizia e benignità verso l’umanità che io senzaindugio dò tale ampia diffusione a quello che io stimo il mio migliore ed il più ricco di tutto ciò che posseggo, io spero d’incontrare una candida accoglienza da parte di tutti i partiti... benché ci sono tante cose che dovrebbero essere portate alla luce, cose che è evidente differiscono da certe opinioni comuni."
Egli continua con una supplica a "tutti coloro che amano la verità" di "convalidare tutte le cose" alla luce della Scrittura. Il suo unico desiderio è di difendere la Bibbia contro la tradizione:

"Da parte mia, io mi mantengo fedele solo alle Sante Scritture --- Io non seguo altre eresie o sette. Non avevo mai neanche letto i lavori dei, così chiamati eretici, quando gli sbagli di coloro che sono considerati ortodossi e la loro incauta manipolazione della Scrittura, prima m'insegnarono a convenire con i loro avversari tutte le volte che questi oppositori aderivano alla Scrittura."26
Milton ha costruito la sua causa anti-Trinitaria sull'esplicitamente unitarie asserzioni di fede del Nuovo Testamento. Il suo argomento è caratterizzato da una stretta logica, e dettagliata conoscenza dei linguaggi biblici, ed un pò di frustrazione per i tradizionali tentativi di evitare le asserzioni unitarie di Paolo che dicono che "c’è soltanto un Dio, il Padre": "E’ stupefacente vedere con quali futili astuzie, o per meglio dire con quali artificiosi inganni, certuni hanno tentato di eludere or oscurare il semplice significato di questi passaggi."27
Milton è familiare con l’intero spettro dell'argomento Trinitario e la sua risposta è un inestimabile contributo alla discussione moderna.
Sir Isacco Newton (1642- 1727) e Giovanni Locke (1632-1704) sono riconosciuti come le menti più fini e penetranti del diciasettesimo secolo. Con Milton questi due hanno denunciato la creazione di mistificazioni che non si trovano nella Bibbia. I loro argomenti sono, in definitiva, logici e di buon senso.28 Tutte e due mantenevano che l'essenza della Cristianità è il riconoscere Gesù come Messia, non come Dio.29

Il Dibattito Moderno sulla Preesistenza

La questione della preesistenza era il punto focale dell'illuminante lavoro letterario di Giovanni Knox, su l'Umanità e Divinità di Cristo. Il suo punto di principale importanza è che "l'asserzione della preesistenza di Cristo, ha messo una tensione, per così dire sull'umanità di Gesù che questa non ha retto"30 Egli poi continua e mantiene che nel Vangelo di Giovanni l'umanità di Cristo è "nel senso formale, chiaramente e fortemente confermata, ma in realtà, è stata così trasformata dalla divinità che la circondava da tutte le parti, per così dire, al punto di non essere più in alcun ordinario senso umana." Con queste parole egli manifesta la sua obiezione al ritratto di Gesù (dipinto) da Giovanni. Ma ha Giovanni veramente contradetto se stesso? Soltanto, noi proponiamo, quando interpretato alla luce di una dottrina che è apparsa dopo. Knox stabilisce i termini del dibattito che ha perseverato con particolare interesse nella Cristologia di Giovanni e la natura della preesistenza. E se Giovanni pensasse che Gesù fosse un Figlio preesistente come persona, non avrebbe soltanto questo automaticamente negato la sua vera umanità? Knox è convinto che è proprio così: "Noi possiamo avere l'umanità senza la preesistenza e possiamo avere la preesistenza senza l'umanità. Ma non c'è modo di averle tutte e due."31Knox crede che "èsemplicemente incredibile che una persona divina possa diventare una completa e normale persona umana--- continuando ad essere, in essenza, la stessa persona."32 La tradizionale figura di Gesù come l'Incarnazione di un Figlio preesistente è un problema profondo per Knox. Egli considera la Cristologia ortodossa come "mezza storia e mezzo dogma, un insieme di mitologia e filosofia, di poesia e logica, tanto difficile da definire quanto da difendere... Questo è vero generalmente della Cristologia patristica (e quindi della formale Cristologia che abbiamo ereditato)."33 Queste preoccupazioni recentemente sono state affrontate da numerosi e ben conosciuti teologi, dimostrando che il vecchio problema sulla natura divina o umana di Gesù è ancora più vivo che mai. Knox considera lo sviluppo verso un preesistente Cristo una distorzione, che coinvolge, anche se a noi non piace, un diniego della piena realtà dell'umanità di Gesù. Egli mette in rilievo che le proteste, dei Padri della Chiesa che il loro Gesù era pienamente umano, sono meno che convincenti, perché "Ci sono, nel caso di parole e non meno di altre cose, modi di riprendere con una mano quello che è stato appena dato con l'altra. Si! Si può affermare l'umanità come un fatto formale e poi procedere in modo di definirla o di raffigurarla negandone così la sua realtà in ogni senso comunemente accettato.”34 In questa opinione è pienamente sopportato da Norman Pittenger che fa i seguenti importanti giudizi sulla Cristologia patristica, che trasse la sua ispirazione dal leggere Giovanni:

"A mio giudizio una fondamentale difficoltà con la Cristologia dell'era patristica è, che mentre in parole asserisce la realtà dell'umanità di Gesù Cristo, effettivamente non prende quell'umanità abbastanza seriamente ... [E’ interessante osservare come egli escluda Paolo di Samosata da questo criticismo.] La tendenza del pensiero Cristologico, che tradizionalmente si credeva fosse 'ortodosso', pesava invece molto più dalla parte della divinità che dalla parte dell'umanità di Gesù.35 La Cristologia Ortodossa, anche quando gli eccessi degli insegnamenti Alessandrini erano stati in qualche modo controllati a Calcedonia nel 451 D.C., era tesa verso una impersonale umanità che non è per niente, a mio parere, genuina."36

Questo sembra sia precisamente il problema. Ma Knox sbaglia a dar colpa a Giovanni di aver introdotto questa distorzione. Giovanni non era colpevole di tali dissimulazioni sull'umanità di Gesù. Invece, il problema sta nell'interpretazione sbagliata, dei Padri della Chiesa Nicena, ed alcuni dei loro predecessori, del 'logos' di Giovanni e così del significato di preesistenza. La susseguente formula ufficiale che Gesù era "uomo" ma non "un uomo" (che rimane ancora nei libri del Trinitarismo tradizionale fino ad oggi) non riflette per niente l'intenzione di Giovanni, poiché non c'è un modo concepibile di essere "uomo" eccetto con l'esserlo.37 Alla luce di queste considerazioni, non è difficile vedere che l'accusa di docetismo può ben essere messa a livello della definizione ortodossa di Cristo. Se essere umano vuol dire essere uomo, e l'ortodossia deve smettere di dire che Gesù era "un uomo", forse questo criticismo dovrebbe essere accettato. Ma Giovanni ha mai chiesto di credere in un preesistente "Dio, il Figlio"? Molti hanno creduto così, e sono rimasti fedeli al credo ortodosso della preesistenza, malgrado questa si avvicini pericolosamente all'"Apollinearismo." (L'eresia che nega l'umanità di Cristo). Il recente lavoro di tre eminenti studiosi dimostra non soltanto l'acuta natura del problema, ma suggerisce il modo di risolverla --- una soluzione che non è nuova, benché credito non è sempre dato, da scrittori moderni, a coloro che nella storia della Chiesa originale avevano già puntato verso la direzione giusta. La soluzione segue l'esegesi di Giovanni che noi abbiamo proposto prima.

Giacomo Dunn e Giacomo Mackey

Giacomo Dunn in un esteso studio, s'imbarca ad esaminare la questione dell'Incarnazione (e così della Trinità) nel Nuovo Testamento.38 Egli viene in soccorso della tradizionale veduta soltanto nel Vangelo di Giovanni, discutendo che Paolo ed altri scrittori del Nuovo Testamento pensano soltanto di una nozionale o ideale preesistenza di Cristo, e quindi non di un Figlio preesistente. Un importante contributo al dibattito è stato dato da Giacomo Mackey nel 1983.39 In un capitolo intitolato "il Problema della Preesistenza del Figlio", egli comincia con il domandarsi come qualcosa può preesistere se stessa, "che cosa esattamente, secondo questo termine [preesistere] preesiste cos'altro ed in che senso lo preesiste." Egli nota che sono esattamente queste domande che complicano la tradizionale teologia dell'incarnazione e della Trinità. Egli nota che esegeti sono "spesso le inconsce vittime, nel corso del loro lavoro più professionale, di assunzioni del tutto dogmatiche (cioè acritiche)."40 Mackey cerca di scovare la vera origine del termine "preesistenza" in connessione con Cristo, notando che studiosi spesso la leggono in passaggi che tradizionalmente dovrebbero contenerla. Nei Vangeli Sinottici, ha disputato il Mackey, il termine Figlio di Dio certamente non significherebbe mai "Figlio preesistente", ma appropiatamente si conforma all'indicazione dataci nell'Antico Testamento di un Re d'Israele che è Figlio di Dio. "La via logica alla così detta preesistenza", egli mantiene "è tortuosa."41 Per prima cosa, le fonti Giudaiche che sono sopravvissute indicano "una specie di preesistenza nozionale del Messia per quanto riguarda il Suo nome, id. est, la sua essenza e natura precedevano la formazione della luce da parte di Dio nel primo giorno della creazione.... Nel pensiero Ebraico la preesistenza divina del Messia non influisce sulla sua umanità."42 Inoltre, questa specie di preesistenza è: "Un elemento essenziale della rivelazione, modellato per l'immaginazione umana, è che Dio, che non è limitato dal nostro tempo, si era proposto nell'eternità o prima che qualunque altra cosa fosse stata creata, che una persona sarebbe stata la chiave di tutta l'esistenza, e che questa avrebbe portato tutto a compimento, e per la quale (nella quale ed attraverso la quale) tutto, si può quindi dire, è stato creato."43 Mackey procede per dimostrare l'importanza della descrizione di Giovanni di Gesù come monogenes (unico) che non significa unigenitus (l'unico Generato) del Vulgato, come per dire che Gesù fosse Figlio Unico. Vuol dire invece che Egli era Unico tra gli altri della stessa specie. Egli cita Schillebeeckx, che dice che l'aggettivo usato da Giovanni non da "base, nella teologia Giovannina, per la scolastica teologia di un periodo successivo di un procedimento del Figlio dal Padre entro la Trinità, per modum generationis (per nascita)".44 Su questa evidenza, la conferma è assicurata per la tesi che Giovanni non va al di là della “concezione della Cristologica” di Luca, dato che figliolanza in Giovanni non implica per niente, malgrado l'interpretazione patristica, un Figlio nella eternità. Inoltre, Mackey ragiona che non è necessario interpretare "la Parola" di Giovanni diversamente dal modo in cui la "sapienza" Giudaica era stata intesa, come preesistente nel piano di Dio. "Questa Parola, come sapienza (Proverbio 8:30), era con Dio fin dal principio ed attraverso questa tutto è stato creato."45 Ancora una volta Schillebeeckx lo sostiene dicendo. "Il Vangelo di Giovanni parla di Gesù di Nazaret quando Egli apparve sulla terra."46 Mackey aggiunge che l'uso della parola "discendere" (i.e. Gesù discese dai cieli) in Giovanni non indica credenza in una preesistenza letterale. Piuttosto, Giovanni vuol dire che Gesù è la definita rivelazione della natura di Dio. Anche la più solenne asserzione di Gesù che "prima che Abramo fosse, io ero" non indica una cosciente vita pre-umana, ma la sua assoluta importanza nel piano divino, particolarmente del suo ufficio Messianico come previsto da Abramo. Mackey conclude con una forte asserzione: "Se c'è rimasto il minimo rispetto per quello che molto spesso e molto volubilmente professiamo sia normativa parte di Scrittura, non possiamo semplicemente pretendere che la Scrittura ci dia alcuna informazione ben fondata su una seconda 'Persona' divina o ipostasi, distinta sia da Dio Padre che dal Gesù della storia prima che Gesù fosse nato, o prima che il mondo fosse stato creato.”47 L'avvertimento che la tradizionale dottrina della Trinità non è trovata nella Bibbia è forte.

Giovanni A.T. Robinson

La secolare questione sulla preesistenza, e particolarmente la domanda se Giovanni intendesse comunicarci che Gesù era personalmente un preesistente essere divino, è stata vigorosamente discussa nel periodico Theologia.48 La discussione è cominciata con uno scambio di lettere fra James Dunn e Maurice Wiles. I critici risultati di questi scambi sono stati discussi nei susseguenti commenti di Robinson.49 Robinson comincia con l'osservare che Wiles e Dunn erano d'accordo che nel Nuovo Testamento, soltanto Giovanni presenta un Gesù che sembra abbia una esistenza pre-umana. Wiles considera questo, un disastroso sviluppo Cristologico che compromette l'umanità di Gesù e così incoraggia un'accusa di docetismo. Robinson, tuttavia, mette in rilievo che nelle sue epistole Giovanni reagisce violentemente ad ogni suggerimento che il Suo Gesù fosse altro che pienamente umano --- "venne in carne." Questo porta Robinson a non essere d'accordo con Wiles e Dunn che, nel suo Vangelo Giovanni vuole farci intendere che Gesù fosse un preesistente essere divino. La discussione così fa ricordare il problema sollevato da Paolo di Samosata e più tardi da alcuni degli Anabattisti, specialmente in Polonia. Robinson si domanda se sia possibile che noi interpretiamo Giovanni come egli intendeva. O forse noi ci avviciniamo al suo Vangelo con occhiali leggermente colorati da successivi sviluppi patristici nella Cristologia? Usando l'ammonimento proprio di Dunn, Robinson ci esorta a capire le parole di Giovanni così come il suo lettore originale le avrebbe capite. Robinson fa ricordare a Dunn che egli aveva ammesso che per Paolo Gesù era l'espressione della sapienza di Dio, "l'uomo che la sapienza divenne."50 Dunn aveva ammesso che neanche Giovanni 1:14 fornisce alcuna solida base per la tradizionale dottrina dell'Incarnazione. Infatti, questo (verso) marca "la transizione da impersonale personificazione a persona reale."51 Con questo Robinson è d'accordo. Inoltre, Dunn e Robinson condividono l'idea che la "parola" è l'espressione di Dio personificata, no una persona divina, distinta da Dio. Soltanto quando Gesù è stato concepito la "parola" divenne personalizzata non personificata. Robinson non poteva essere d'accordo con Dunn, tuttavia, che "la preesistenza della Parola come una persona con Dio fosse confermata dappertutto [il Vangelo]"52 Robinson ci esorta a limitare il nostro intendimento della preesistente parola, anche in Giovanni, ad "espressione di Dio," la Sua "potenza ed il Suo proposito." Il punto è semplicemente questo: Noi dovremmo essere capaci di captare il cambiamento dal come Giovanni intendeva la "parola", come espressione propria di Dio, alla nozione che questa voglia dire, una preesistente persona divina, fuori dell'ambito del Nuovo Testamento. Non si può incolpare Giovanni per l'espediente. Il cambiamento è successo a Giovanni quando è stato frainteso da prime tendenze Gnostiche che hanno lasciato il loro marchio sulla teologia patristica. Non è avvenuto in Giovanni. Robinson crede che la "parola" che era theos ("Dio," Giov. 1:1) era pienamente espressiva del piano, del proposito e del carattere di Dio. Quella "parola" è stata pienamente incarnata in una persona umana quando è diventata carne (Giov. 1:14). Gesù è quindi quello che la parola divenne. Non lo si può identificare tutt'uno con la preesistente parola come se egli stesso fosse preesistito. La differenza è sottile ma ha implicazioni devastanti per tutto lo sviluppo della Cristologia. Così non è che la parola fosse una "persona", un'ipostasi, che poi assunse una natura umana, ma che la parola fosse "inipostatica," impersonale, benché piena espressione di Dio, fino a quando divenne una individuale storica persona umana in Gesù. Gesù è quindi pienamente una persona umana "che esegeta" l'Unico Vero Dio all'umanità (Giov. 1:18). Questo modo di leggere Giovanni ha l'enorme vantaggio di evitare il pericolo di una presentazione docetica del Cristo, ed anche di una polarizzazione tra Giovanni ed i Vangeli Sinottici, che sconoscono un preesistente Cristo. Ed inoltre lascia che il termine "parola" sopporti il suo significato Ebraico dell'Antico Testamento, di "proposito" o "piano" o anche di "promessa". Gesù può essere visto come la realizzazione dell'antica promessa ad Abramo che è così importante per Matteo e Luca. Gesù è il creativo piano di salvezza di Dio espresso in una persona umana. La "divinità" di Gesù non è diminuita dato che "chi vede Lui vede il Padre" (Giov. 14:9). Ma questa è una "divinità" diversa da quella espressa dalla ortodossia Trinitaria. Poiché la divinità è l'attività di Dio che lavora nella ed attraverso una persona umana perfettamente abbandonata (alla volontà del Padre). Gesù, con questa interpretazione, non è Dio nel senso Trinitario, ma una persona umana che esprime pienamente Dio, il Suo agente per la riconciliazione del mondo. La cosa meravigliosa che Dio ha fatto sarà poi vista in termini di glorificazione di una persona umana perfettamente ubbidiente che è stata genuinamente tentata così come lo siamo noi. Questa immagine armonizza con la veduta Sinottica di Gesù. Sopratutto, evita una presentazione di Gesù come di qualcuno che è più di un essere umano, qualcuno che è stato sempre Dio fin dall'eternità. La verità allora emergerà che Gesù era "in forma di Dio" (Filippesi 2:6), ma non che egli fosse Dio. Con questo intenso esame della Scrittura, Robinson ci porta indietro alla biblica figura di Gesù come la perfetta immagine di Suo Padre, il Cristo la cui ubbidienza perfetta ed il cui sacrificio lo hanno qualificato ad essere veramente "Figlio di Dio." Ma è triste che Robinson non abbia confermato il credo in una supernaturale concezione che per Matteo e Luca costituisce il miracolo con il quale l'Unico Dio ha portato in esistenza il capo della nuova creazione, il Messia senza peccati, Figlio di Dio.


Frances Young

È facile simpatizzare con quei studiosi di mentalità biblica che hanno reagito al Mito del Dio incarnato.53 Sembrava proprio che le colonne stesse che sostenevano la Cristianità fossero state scosse. Alcuni proponenti della nuova idea di Gesù apparentemente non credevano troppo alla Bibbia. John Stott, rappresentante dell'evangelicalismo, ripete le ragioni ortodosse per credere nella piena Deità di Gesù. Egli insiste che Gesù era un vero uomo, ma non ci dice come esattamente questo è possibile secondo la veduta, che il Figlio eterno "prese la natura di uomo," di Leo Tome (sanzionato dal Secondo Articolo Anglicano, 1563) Molti si sono resi conto che un essere che è "uomo" senza essere "un uomo" è molto meno umano dell'"uomo Gesù Messia" della dottrina di Paolo (1Tim. 2:5). Stott concede che Gesù non sia mai andato in giro dichiarando inequivocabilmente di essere Dio. Ciò nonostante la "traslazione di titoli e di testi di Dio da Giaova a Gesù ha una inevitabile implicazione. Questa identifica Gesù con Dio."54 Inoltre Gesù è venerato il che prova che è Dio. Frances Young era una tra coloro che hanno contribuito al Mito del Dio incarnato. È appropriato includere in questo capitolo un sommario del suo eccezionale lavoro, "Una Nuvola di Testimoni," perché rappresenta il sentimento di tanti che hanno lottato per il Gesù della Bibbia senza aderire alla Cristologia ortodossa. La professoressa Young ha esposto il punto debole della tradizionale veduta di Gesù. Essa lamenta che la ricchezza dell'illuminazione Cristologica del Nuovo Testamento è stata oscurata quando lo hanno confessato incarnato Figlio di Dio. C'è un rinfrescante nuovo modo di leggere la testimonianza di Gesù nel Nuovo Testamento:

"Se evitiamo di leggere il Nuovo Testamento con lenti colorate da susseguenti dogmi, noi vedremo emergere uno scenario Cristologico – o per meglio dire scenari – molto diverso dalla susseguente ortodossia."55 "[Gesù] era l'incorporamento di tutte le promesse di Dio portate a compimento. Tale Cristologia, io suggerisco, rappresenta la Cristologia del Nuovo Testamento meglio dell'idea dell'incarnazione, ed è stata infatti il principio di molte più idee Cristologiche, quando tutto l'Antico Testamento era visto come realizzato in Cristo."56

Frances Young restaura la figura biblica di Gesù che funge da Dio senza essere Dio: "Paolo non Lo ha mai chiamato Dio, né Lo ha mai identificato con Dio. È vero che faccia il lavoro di Dio; Egli è senza meno il supernaturale agente, che agisce per iniziativa di Dio."57 La chiara veduta dell'autore della distinzione biblica fra Dio e Gesù le permette di non essere ingannata dagli errori dei Padri. Essa non era ben sicura se nello sviluppo della Cristologia "Giuste domande erano state chieste, o se soluzioni migliori erano state trovate."58 L'ortodossia che alla fine ne emerse era sopportata da "inadeguati argomenti e distorte esegesi".59 Il credere in Gesù come Dio incarnato era stata dettata dal prevalente ambiente filosofico. Infatti ci sono evidenti similarità fra la cosmologia triadica del neo-Platonismo e la Trinità. Quello che più aiuta è il criticismo della Frances Young della radicata idea che soltanto Dio Stesso può assicurarci la salvezza e perciò Gesù non può essere altro che Dio. Il problema con questa veduta ortodossa è che il Dio immutabile non può soffrire, non può essere tentato, e non può morire. Il trattamento di Atanasio della tentazione di Gesù cade in docetismo e porta all'apparentemente insensata conclusione che Gesù "soffrì senza veramente soffrire": "il suggerire che mentre il «corpo» o l'«uomo Gesù» soffriva sulla croce, il Logos in qualche modo soffriva in simpatia, poiché era «il Suo corpo» o il «Suo uomo,» poiché per natura non era possibile per Lui soffrire."60 Questo componimento fornisce un'avvincente confutazione della confortevole veduta che i Padri fedelmente hanno trasmesso nel descriverci il Gesù del Nuovo Testamento. Anzi, il loro filosofare ha portato in "vicoli ciechi di paradossi, di illogicità e docetismo."61

George Carey

George Carey, che in seguito divenne Arcivescovo di Cantebury, è venuto alla difesa della tradizionale dottrina dell'Incarnazione, nel Dio Incarnato: unendosi alle contemporanee sfide alla Classica Dottrina Cristiana. La validità del suo lavoro sta nella sua giustificabile protesta contro la tendenza fra alcuni autori del Mito del Dio Incarnato di ridefinire Gesù in modo da renderlo più accettabile al moderno uomo di scienza. Carey è giustamente disturbato dal rifiuto di credere nella vergine concezione, nell'innocenza di Gesù e nella Sua resurrezione come un fatto obiettivo della storia. Coloro che contribuirono al Mito hanno così indebolito l'efficacia delle proprie obiezioni bibliche all'incarnazione ortodossa. La loro ambivalenza incresciosa del soprannaturale, specialmente della resurrezione, inevitabilmente sminuì le loro ben discusse obiezioni sul Trinitarismo. "Liberali" molto spesso sventolano una bandiera rossa ai conservatori. Tuttavia, un "liberale" può essere più obiettivo nella sua investigazione della Bibbia, dato che è meno intento di un conservatore a difendere un sistema tradizionale. È possibile credere fermamente in quello che Carey chiama: "straordinario, unico legame di Gesù con Dio,"62 senza pertanto aderire alla dottrina che Egli era Dio. Anche Carey ha difficoltà a chiamarlo apertamente Dio. Egli preferisce una più indiretta descrizione di Gesù "in una certa forma Dio".63 Tra gli estremi di alcuni esponenti del Mito ed il pieno Trinitarismo, si è aperta una nuova strada nel modo di percepire Gesù. Se la nuova Cristologia avesse confermato gli elementi soprannaturali della biblica descrizione di Gesù, e se Carey potesse riconsiderare la debolezza di "usare" un linguaggio che prova una preesistenza, una più biblica Cristologia ne sarebbe sorta. Gesù deve certamente essere proclamato, seguendo precedenza apostolica, come l'unica via alla salvezza. Ma la potenzialità dei Cristiani di essere "ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Efesini 3:19) dovrebbe controbilanciare lo sforzo ortodosso, di usare la "pienezza della Divinità" (Col. 1:19; 2:9) in Gesù, come prova della sua Deità (essere Dio). La difesa di Carey è vulnerabile in diversi punti. Dove è il sopporto biblico per l'esigenza di credere che Egli "era stato generato fin dall'eternità," che Carey sembra affermi senza alcun sostegno di testimonianza biblica? È perché è chiaro che il fatto che Dio "ha mandato Suo Figlio" vuol dire che il Figlio fosse vivo prima di essere stato concepito? Pietro non ha in mente alcuna idea di preesistenza quando afferma che Dio "avendo risuscitato il Suo servo, Lo ha mandato" a predicare ad Israele (Atti 3:26). Gesù e stato autorizzato a predicare, non è stato mandato da una vita antecedente. Sembra che standard autorità lessicali riconoscano le debolezze dell'argomento sulla parola "mandare," mentre le pressioni di mantenere lo stato quo della Cristologia può causare agli espositori di lasciarsele sfuggire.

Karl-Josef Kuschel

Nel 1990 apparve in Germania, dal sofisticatissimo campo dell'erudizione Cattolica Romana, uno studio completo sulla questione della preesistenza e della Trinità: "Nato Prima del Tempo? La Disputa sull’ Origine di Cristo". Karl-Josef Kuschel esaminò le rivali Cristologie di Harnack, Barth e Bultmann e poi intraprese la sua propria analisi dei dati del Nuovo Testamento. Egli si fa le giuste domande: "È stato il Gesù della storia preso seriamente?" e "Non è diventata una semplice astrazione il vero significato della parola 'carne' in Barth e Bultmann?"64 Egli si domanda se questi que teologi, la cui influenza è stata massiccia, "avessero capito con esattezza il Nuovo Testamento"65 nella loro descrizione di Gesù Cristo. In modo scioccante, come un'altro teologo tedesco, Wolfgang Pannenberg, aveva detto, "Barth prima di tutto non sviluppa la sua dottrina della Trinità basandola su evidenza escatologica", facendo eco alla rivelante osservazione di Ernst Fuchs che "Se non ci fossero stati testi biblici, il profilo di Barth sarebbe stato preferibile."66 Il Professore Kuschel poi esamina il ruolo della sapienza nella Bibbia Ebraica, trovandolo identico alla 'parola creativa' di Dio ed alla Torah, come il piano che ha guidato Dio alla creazione. Egli così sostiene che l'uomo Gesù è la personificazione di questa preesistente sapienza e non l'eterno Figlio di Dio che esisteva prima della Sua nascita a Betlemme. Kuschel mantiene che nel capitolo secondo dei Filippesi non v'è alcuna evidenza che il Cristo fosse uguale a Dio. Piuttosto Cristo è "la grande figura contrapposta alla figura d’Adamo"67. Kuschel è d'accordo con Dunn che Paolo non parla della preesistenza del Figlio. Per quanto riguarda il Vangelo di Giovanni, "Dio essenzialmenteniente non è altro che il Padre di Gesù Cristo"68. Egli chiede come mai il prologo di Giovanni non inizia (come tanti institivamente leggono) "Nel principio era il Figlio ed il Figlio era con Dio ed il Figlio era Dio."69 Questa monumentale critica del Trinitarismo ortodosso sopporta la nostra convinzione che "la storia della Cristologia della Cristianità Giudaica... ha bisogno di urgente investigazione... non soltanto per giustizia storica ma anche per un intendimento ecumenico."70 La predominante teologia del Concilio di Calcedonia "a mala pena accenna alla vita terrena ed alla storia terrena di Gesù."71 In verità la relazione tra Padre e Figlio proposta dal concilio "non sarebbe stata capita da un Giudaico Cristiano come Paolo ed ancor meno non sarebbe stata capita da Giovanni."72 Lo studio brillante del Professore Kuschel, con l'approvazione entusiastica di Hans Kung che scrive la prefazione, ci avvisa della minaccia del Trinitarismo al monoteismo ed anche alla sua capacità di erigere barriere non necessarie contro dialoghi con Giudei e Musulmani. "Nato sin dall'eternità?" echeggia nel nostro tempo la vecchia tradizione di protesta contro la veduta "ortodossa" di Gesù che sembra elimini la Sua umanità e quindi oscuri la Sua Messianicità.

Karl – Heinz Ohlig

Ed ancora in Germania nel 1999 è stata publicata una brillante storia del problema Trinitario. Il Ein Gott in drei Personen? Vom Vater Jesu zum "Mysterium" der Trinitat (un Dio in tre persone? Dal Padre di Gesù al "Mistero" della Trinità) rivela il tenue legame della Bibbia con il Trinitarismo. L'autore considera importante che il dogma Trinitario abbia tenuto i Giudei ed i Musulmani a debita distanza dalla Cristianità. Ohlig rompe un vecchio tabù. Egli non ricorre ad un vago parlare di "misteri" per spiegare la Trinità. Egli ci dà un meravigliosamente succinto e molto informativo resoconto dello sviluppo del Trinitarismo. Egli attribuisce questo sviluppo a pressioni culturali sulla Chiesa, cominciando dal principio del secondo secolo. Egli rimpiange la perdita dell'originale monoteismo Giudaico e reputa molto importante che, dato che Gesù non era Trinitario, perche lo dovrebbero essere i suoi seguaci? Ed inoltre, dato che il Trinitarismo non è emerso, nella sua forma finale, fino al quinto secolo, e certamente non era presente nel secondo secolo come dogma di tre Persone eterne, quale fase, nella sua evoluzione dovrebbe essere obbligatoria per i Cristiani? Ohlig mantiene che è storicamente e teologicamente illegittimo il fare della dottrina della Trinità una normativa per i seguaci: Considerata teologicamente, la Trinità è venuta fuori da un sincretismo di Giudaismo e Cristianità con Ellenismo che è risultato in una combinazione di monoteismo Giudeo – Cristiano e monismo Ellenico [credo in un Dio] ... Quello che il teologo così scopre, pone una domanda alla teologia sulla legittimità di tale fabbricazione. Quando sarà chiaro – e non c’è modo di girarvi intorno - che Gesù stesso riconosceva soltanto il Dio d'Israele, che egli chiamava Padre, e non sapeva alcunché del suo piu tardo "essere stato fatto Dio," quale diritto abbiamo di chiamare, la dottrina della Trinità, normativa e cogente per i Cristiani?... In qualsiasi modo noi interpretiamo le varie fasi Dello sviluppo della Trinità, è chiaro che questa dottrina, che è diventata "dogma" nell'Oriente e nell'Occidente, non ha una base biblica e non può essere rintracciata senza interruzioni al Nuovo Testamento. Gradatamente, la teologia deve guardare in faccia i fatti.73 Le osservazioni di Ohlig confermano vigorosamente le conclusioni di un altro più vecchio famoso professore della storia della dottrina, che scrisse:

"GliApologeti hanno preparato le fondamenta per la perversione/corruzione (Verkehrung) della Cristianità in un rivelato [filosofico] precetto. Specificatamente, la loro dottrina ha influenzato disastrosamente il più tardo sviluppo. Con il dare per scontato il trasferimento del concetto di Figlio di Dio nel preesistente Cristo, essi furono la causa del problema Cristologico del quarto secolo. Hanno causato un mutamento al punto di partenza del modo di pensare Cristologico – via dallo storico Cristo e nel problema della preesistenza. Hanno, così cambiato direzione, via dalla storica vita di Gesù, mettendola nell'ombra, promuovendo invece l'Incarnazione. Hanno collegato la Cristologia alla cosmologia e non furono in grado di legarla alla soteriologia. La dottrina del Logos non è una Cristologia 'più elevata' dell'usuale. In realtà ritarda moltissimo il genuino apprezzamento di Cristo. Secondo i loro insegnamenti non è più Dio che rivela Se Stesso in Cristo, ma il Logos, un Dio subalterno, un Dio che come Dio è Subordinato al Dio Supremo (inferiorismo o subordinazione). Ed inoltre la sopressione di idee economico-trinitarie con concetti Metafisici-pluralistici della divina triade (trias) risalgono agli Apologisti."74



Bibliografia:


  1. Marco 12:29-34; Giov. 5:44; 17:3; 1 Cor. 8:4-6; Efes. 4:6; 1 Tim. 2:5, ecc..
  2. Prg. Conoscere e seguire Gesù, di Thomas Hart, ed l ben conosciuto Dio Era in Cristo, di Donald Baillie (Londra: Faber, 1961).
  3. Dialogo con Trifo
  4. La Chiesa dei Primi Tre Secoli, Alvan Lamson, (Boston: Houghton, Osgood & Co., 1880), 80. Giustino, tuttavia, spinge per uno sviluppo susseguente verso il Trinitarismo col sostenere la letterale preesistenza di Gesù. Trinitarismo non era il credo del Periodo post- apostolico per circa 80 anni, come è dimostrato dall’ammissione di La Nuova Enciclopedia della Conoscenza Religiosa, Schaff-Herzon che nel periodo 100-180 “non c’è niente che mostra che a quel tempo Cristo fosse considerato il Dio Eterno” (Harnack, “Monarchianismo,” 7:453)
  5. Storia della Corruzione della Cristianità (J.&J.W. Prentiss, 1838), 21.
  6. William Childs Robinson, “Gesu’ Cristo e’ Giaova” (Part 2) Evangelico Trimestrale 5:3 (1933): 275, Enfasi aggiunta. Per lo sviluppo del Trinitarismo nel periodo post-biblico, vedi M.M. Mattison, La Formazione di una Tradizione (Ministry School Publications, 1991).
  7. Le Fondazioni (Londra : Macmillan & Co., 1913) 226.
  8. Citato da F.W. Green, “Il Successivo Sviluppo della Dottrina della Trinità,” in Temi sulla Trinità e l’Incarnazione (Longmans, Green & Co., 1928), 259.
  9. Ibidem (nello stesso posto) prg. l’osservazione di Canon Goudge che “quando il pensiero Greco e Romano invece di quello Ebreo venne a dominare la Chiesa, quel che avvenne è stato un disastro nella dottrina e nella pratica dalla quale non ci siamo piu’ ripresi.” (“Il Richiamo dei Giudei,”) nel raccolti saggi sul Giudaismo e Cristianita’).
  10. Saggi sulla Trinitù e l’Incarnazione, di F.G. Green, 262.
  11. Ad Praxeus, Tertulliano, 5.
  12. Saggi sulla Trinità e l’Incarnazione, di F.G. Green, 64.
  13. Ibidem
  14. Fondamenta, 227.
  15. Dalla corrispondenza, 13 Giugno 1981.
  16. Vedi M.M. Mattison, “Biblico Unitarismo dalla Ciesa Esordiente attraverso il Medio Evo,” Un Articolo dalla Riforma Radicale: una Testimonianza all’Unitarismo Biblico 1 (inverno 1992): 4-13. Un patrimonio d’informazione su tutti gli aspetti della controversia Trinitaria possono essere trovati in questo giornale, publicato dal 1991-2000. Fascicoli arretrati possono essere ottewnuti chiamando questo numero 800-347-4261. Altre risorse possono essere trovate a questo indirizzo www.restoretiofellowship.org..
  17. La riforma Radicale, di G.H. Williams (Filadelfia Westminster Press, 1962), 271, 322, 333.
  18. Per dettagli sul modo come Calvino ha trattato Servetus, leggete Caccia ad un Eretico: La Vita e la Morte di Michele Servetus, di R.H. Baiton, (Beacon Press, 1951).
  19. Gli Anabetisti Olandesi, H.E. Dosker, (Judson Press 1921) 58.
  20. Leggete Fede Cristiana di Hendrikus Berkhof (Grand Rapids: Eerdmans, 1979), and Una Fede per Oggi, Ellen Flesseman. J. E. Steely, (Associazione dei Professori di Religione Battisti, casella postale A, Universita’, Mercer 1980).
  21. Underscheit tusschen rechte und falsche leer (Biblioteca Reformatoria Nederlandica), 5:315-581.
  22. Gli Anabetisti Olandesi, 163.
  23. Ibidem, 93.
  24. Per un resoconto completo di Adam Pastor, leggere “Adam Pastor, Anti-Trinitario ed Anti- Neobattista” A.H. Newman, negli Scritti della Societa’ Americana della Storia della Chiesa (G. Putman’s Sons 1917) Seconda serie, 5:98, Leggete anche sul Giornale dalla Riformazione Radicale 3:3 (Primavera 1994): 23-30. un’articolo di Anthony Buzzard “Adam Pastor: Un’ Anabetista Anti- Trinitario.”
  25. L’Informazione per questa sezione e’ presa da Socinianesimo nell’Inghilterra del Diciattesimo- Secolo, H.J. McLachlan (Oxford University Press, 1951), 163-217.
  26. Trattato sulla Dottrina Cristiana, John Milton (Londra: Associazione Unitaria Britannica e Straniera, 1908), X, XI.
  27. Ibidem, 20
  28. Milton e la Rivoluzione Inglese, di Cristoforo Hill, (New York:Viking Press, 1977), 286, 296
  29. Leggete La Ragionevolezza della Cristianità Trasmessa Nella Scritture (1695) di Locke
  30. L’Umanità e Divinità di Cristo, di John Knox, (Cambridge University Press, 1987), 53.
  31. Ibidem, 106.
  32. Ibidem, 98.
  33. Ibidem, (Stesso posto) 98, 99.
  34. Ibidem, 62.
  35. Prg. Conoscere e seguire Gesù, Tommaso Hart, specialmente 44-48.
  36. La Parola Incarnata (Nisbet, 1959), 89.
  37. Prg. la perplessità di A.T. Hanson quando pensa a quello che gli è stato insegnato al seminario della definizione ortodossa di Gesù: “Durante la mia formazione teologica sono stato ben istruito sul tradizionale descrizione dell’Incarnazione di Dio in Gesù Cristo. Io distintamente ricordo che mi è stato detto che la Parola di Dio, quando ha preso sembianze umane, ha assunto una umanità impersonale; Che Gesù Cristo non possedeva una personalità umana; che Dio divenne uomo in Gesù Cristo, ma non è mai diventato un uomo.... Due considerazioni mi hanno persuaso che questa Cristologia tradizionale è incredibile” (Grazia e Verità: Uno Studio della Dottrina dell’Incarnazione, Londra: SPCK, 1975, 1). La stessa perplesità è espressa da Oliver Quick nel suo libro Dottrine del Credo (Nisbet, 1938): “Se noi affermiamo che Gesù era una persona umana, o noi siamo costretti in un concetto impossibile di una doppia personalità nell’incarnato Figlio di Dio, o altrimenti nella Cristologia del Protestantesimo liberale che noi abbiamo trovato inadeguata. Se noi neghiamo che Gesù era una persona umana, noi neghiamo, per induzione, la pienezza dela sua mascolinità e giudicato colpevole d’apollonarianismo. Il dott. Raven (Leggete il suo libro Apolloniarismo) che la maggior parte di quelli che la tradizione Cattolica ha onorato come dottori dell’ortodossia erano di fatto Apollinei, benché essi condannassero Apollinarius” (178). Pgr. L’osservazione di Norman Pitterger che “Calcedonia non è stata capace prevenire un modificato Apollinarianismo di diventare l’ortodossia del Medio Evo” (La Parola Incarnata, 102).
  38. Cristologia in Formazione.
  39. L’Esperienza Cristiana di Dio come Trinità (Londra: SCM Press, 1983)
  40. Ibidem, 51.
  41. Ibidem, 56.
  42. Ibidem, 56, 57.
  43. Ibidem, 57.
  44. Ibidem, 59.
  45. Ibidem,
  46. Ibidem.
  47. Ibidem, 64. 85 (Marzo e Settembre 1982). Per un molto utile sommario della discussione moderna, leggete Il Dibattito della Cristologia Odierna, Klaas Runia.
  48. “Dunn su Giovanni,” Teologia 85 (Sttembre 1982): 332-338.
  49. Cristologia in Formazione, 212.
  50. Ibidem, 243.
  51. Ibidem, 250.
  52. Ed. John Hick (Londra: SCM Press, 1977).
  53. L’Autentico Gesù (Marshall, Morgan e Scott, 1985), 33.
  54. Il Mito del Dio Incarnato, 14.
  55. Ibidem, 19.
  56. Ibidem, 21.
  57. Ibidem, 23.
  58. Ibidem.
  59. Ibidem, 27.
  60. Ibidem, 29.
  61. Dio Incarnato: Conoscendo le Sfide Contemporanee ad una Classica Dottrina Cristiana (Inter Varsity Press, 1977), 7.
  62. Ibidem, 18.
  63. Nato Prima di tutto? La Disputa sull’Origine di Cristo, 174.
  64. Ibidem.
  65. Ibidem, 179.
  66. Ibidem, 251.
  67. Ibidem, 276.
  68. Ibidem, 381.
  69. Ibidem, 394, 395.
  70. Ibidem, 425.
  71. Ibidem, 409.
  72. Ein Gott in drei Personen? Mainz: Matthias Grunewald- Verlag. 1999, 123-125, trad. Nostra.
  73. Leitfaden zum Studium der Dogmengeschichte(Manuale per lo Studio della Storia del Dogma, 1890), Friedrich Loofs, Halle- Saale: Max Niemeyer Verlag, 1951, part 1, sez. 18: “Cristianita’ come Filosofia rivelata. Gli Apologisti Greci,” 97, Trd. Nostra.