venerdì 26 dicembre 2014

Lo Tzaddìk e i suoi Discepoli



Brano tratto dal libro "Lo Tzaddik e i suoi discepoli" edizioni Mamash.
Lo Tzaddìk e i suoi Discepoli
(brano tratto dal cap. 2)
LE DIMENSIONI PIÙ PROFONDE DI UNO TZADDÌK

Se pure è vero che il servizio Divino di uno tzaddìk è molto più grande di quello dei maggiori studiosi della Torà in ogni ambito, tutto ciò ne descrive soltanto gli attributi esteriori.
Quello che veramente definisce uno tzaddìk è molto più profondo. Non soltanto egli è ad un livello assai più alto di qualsiasi altra persona nelle aree sopra descritte, la sua intera essenza è Divina. Il modo di descriverlo, Ish HaElokìm, una persona divina indica una persona in cui risiede la presenza di D-o.
La maggior parte di noi accetta l’idea della sacralità di un determinato oggetto. Ad esempio, molti diranno: «È facile accettare che il Rotolo della Torà abbia in sé la presenza Divina. Ecco perché rimaniamo in piedi con gran rispetto quando entra in una sala». È comprensibile pure il concetto della presenza Divina rivelato o contenuto in uno shul, o nel Bet Hamikdàsh (il Santo Tempio). Ma cosa significa che una persona in particolare ha in sé la presenza di D-o? Attribuire santità ad un uomo non è forse affine all’idolatria?
La risposta a questa domanda non ha origine nel khassidismo. Uno dei principi basilari della Torà è che ogni individuo che si dedica totalmente alla spiritualità ed al miglioramento di sé diventa una nave in cui può dimorare la presenza di D-o. Uno dei principi fondamentali della fede ebraica è che una persona che raggiunge questo livello di purezza nei suoi pensieri, nel discorso e nell’azione, alla fine meriterà di avere la dimora di D-o dentro di sé. La Torà illustra quest’idea in molti passaggi.
Un esempio si trova nel Libro di Shemòt (33, 7) laddove afferma: Moshè soleva prendere la sua tenda e piantarla fuori dal campo… e chiunque cercasse D-o andava nella sua “Tenda della Radunanza” che era fuori del campo.
Rashì, uno dei maggiori commentatori della Torà, sostiene che da questo verso tutti coloro che cercavano D-o andavano nella tenda di Moshè; se ne conclude che quando una persona riceve uno studioso di Torà cioè uno tzaddìk è come se ricevesse la Shekhinà, presenza Divina.
Rashì continua affermando: «Cosa significa tutti coloro che cercavano D-o? Spiega che tutti significa persino gli angeli in Cielo. Quando un angelo chiede ad un altro angelo “Mi sai dire dove trovare la Shekhinà?” la risposta è: “Nella tenda di Moshé Rabbènu”».
In un altro esempio è detto che “il timore e la reverenza che avete verso il vostro Rebbe, lo tzaddìk, dovrebbe avere la stessa natura del rispetto e della reverenza che avete verso D-o”. In altre parole, siccome lo tzaddìk contiene in sé la Shekhinà, il rispetto e il timore nei suoi confronti dovrebbero essere della stessa natura di quelli che si provano per D-o.
Il Ràmbam, nel quinto capitolo delle sue Leggi del Talmùd Torà, afferma che: «Il timore del proprio Rebbe dovrebbe essere equivalente al suo timore del Cielo» e continua: «chiunque disputi con il suo Rebbe è considerato come se disputasse con la Shekhinà stessa» (vale a dire contro D-o). Una persona che conduce una rivolta contro il suo Rebbe è considerata come se la conducesse contro D-o. Una persona che presenta rimostranze contro il suo Rebbe viene giudicata come se avesse da lamentarsi verso D-o. Ed ancora, una persona che dubita del suo Rebbe è considerata come se dubitasse di D-o.
Da tutto ciò si evince chiaramente che un Rebbe è una persona di D-o in cui risiede la Shekhinà. Proviamo il massimo timore reverenziale e rispetto per un Rotolo di Torà e per la sua santità, esattamente come per uno tzaddìk.

PERCHÉ TUTTO VERTE SULLA NOSTRA RELAZIONE CON LO TZADDÌK?

Nonostante tutto ciò, c’e un’altra domanda che la gente spesso pone. Riconosciamo pure che uno tzaddìk merita tutto il nostro timore e rispetto, non soltanto per le sue qualità emotive, intellettuali e spirituali, ma anche perché è una persona di D-o; ma perché è necessario concentrarsi tanto intensamente su un Rebbe e sulla nostra relazione con lui?
In tutti i circoli khassidici, oltre all’elevato livello di timore e rispetto conferiti ad un Rebbe, c’è anche una concentrazione di impegno e di attenzione per essergli maggiormente vicini. Un khassìd compie uno sforzo speciale per viaggiare e raggiungere il suo Rebbe in un certo periodo dell’anno e per mantenersi continuamente informato su ciò che accade alla “corte” del Rebbe. Oltre a stabilire e definire un forte collegamento col Rebbe, un khassìd si rivolge a lui per consigli e indicazioni spirituali e materiali e guarda a lui per ricevere ispirazione spirituale. In effetti, in ultima analisi esiste una particolare attenzione verso un Rebbe.
Alcuni si chiedono perché sia tanto necessario un simile legame. Non è invece più importante concentrarsi sulla base, cioè sull’osservanza dei precetti, sullo studio della Torà e sulla creazione di un legame con D-o? Non dovrebbe essere questa l’essenza della vita di un ebreo?
Inoltre, questo livello di attenzione verso il Rebbe non sottrae veramente nulla ad altre aree importanti dell’ebraismo – l’espletamento delle mitzvòt e lo studio della Torà – e forse persino all’attenzione nei confronti di D-o stesso?
La risposta a queste domande è che focalizzare la propria attenzione sull’aggregazione ad uno tzaddìk non è un’usanza inventata dal Bà’al Shem Tov ma un principio basilare della Torà. E, fattore ancor più importante, operare per creare e perfezionare il proprio legame con uno tzaddìk non soltanto non distoglierà attenzione da altre aree dell’ebraismo, ma migliorerà la nostra concentrazione sulla Torà, sulle mitzvòt e sul nostro rapporto con D-o.
Il prossimo capitolo verterà sui riferimenti a tale pratica nella Torà e sulla necessità di seguire uno tzaddìk.