lunedì 21 febbraio 2011

Il dilemma dei Rabbi: uno sguardo ad Isaia 53

di Rachmiel Frydland

 

Questo argomento non è mai stato discusso nella mia scuola ebraica negli anni antecedenti alla guerra, in Polonia. Nell'educazione rabbinica che ho ricevuto, il capitolo 53 di Isaia è stato evitato continuamente in favore di altri argomenti più "importanti" da imparare. Eppure, quando lo lessi, la mia mente si riempì di domande.
Di chi parla questo capitolo? Le parole sono chiare - parla di un Servo del Signore il cui aspetto è sfigurato, ed è afflitto e ferito. Egli non ha meritato dolori o ferite, ma fu ferito per le nostre trasgressioni e colpito per le nostre iniquità, ed attraverso le sue ferite noi siamo stati guariti. Il testo presenta il Servo sofferente del Signore che muore come un korban, una ricompensa per la colpa. Egli è quindi sepolto con il ricco e malvagio, ma risorge gloriosamente alla vita. Dio permette che Egli sia percosso e, alla fine, esalta il Servo che ha patito tale sofferenza per cancellare i peccati di molti.
Ma chi è il Servo? I nostri antichi commentatori d'accordo ritenevano che il testo si riferisse all'Unto del Signore, il Messia. La traduzione Aramaica di questo capitolo, ascritta a Rabbi Jonathan Ben Uzziel, un allievo di Hillel del secondo secolo C.E. riporta questo, e c'è la stessa interpretazione nel Talmud babilonese (Sanhedrin 98b). Allo stesso modo accade nel Midrash Rabbah, in una spiegazione di Ruth 2:14, e nel Midrash Tanhuma, parashà Toldot, fine della sezione. Queste sono solo alcune delle antiche interpretazioni che attribuiscono questo capitolo al Messia.

Rashi (Rabbi Shlomo Itzchaki, 1040-1105) e alcuni dei rabbini seguenti, però, interpretano il capitolo come riferentesi ad Israele. Loro sapevano che le antiche interpretazioni lo riferivano al Messia. Ma Rashi viveva in un tempo in cui era praticata una distorsione medievale del cristianesimo. Egli voleva preservare il popolo ebraico dall'accettare tale fede e, anche se le sue intenzioni erano sincere, altri rabbini e leaders ebrei si resero conto dell'inconsistenza della sua interpretazione. Essi presentano una obiezione basata su tre punti. Primo: le antiche interpretazioni. Secondo: fanno notare che il testo è al singolare. Terzo, notano il versetto 8. Questo versetto presenta una difficoltà insormontabile per quelli che riferiscono Isaia 53 ad Israele (leggere il versetto). E' forse il popolo ebreo tagliato fuori dalla terra dei viventi? No! In Geremia 31:35-37, Dio promette che noi esisteremo per sempre. Siamo orgogliosi del fatto che Am Yisrael Chai "il popolo di Israele è molto vivo e vitale". Ed è impossibile dire che Israele soffrì per le trasgressioni del "mio popolo", che chiaramente intende il popolo di Isaia. Il popolo di Isaia non sono i gentili, ma gli ebrei.
Moshe Kohen, un Rabbino spagnolo del 15° sec., spiega questo paragrafo:
"Questo capitolo, spiegano i commentatori, parla della cattività di Israele, nonostante venga usato il singolare. Altri hanno supposto che parli del mondo attuale, in cui siamo tormentati e oppressi...ma altri, alterando il numero dal singolare al plurale, cambiano il senso naturale dei versetti. E ciò che mi sembra, è che abbiano dimenticato la conoscenza dei Savi, e interpretato secondo la durezza dei loro cuori...io sono felice di interpretarlo, in accordo con l'insegnamento dei nostri rabbini, come referentesi al re Messia."

Per lo stesso motivo il Rabbino Moshe Alsheikh, Rabbino di safed, 16° sec., dice: io sottolineo che i nostri rabbini unanimemente affermano che il profeta stia parlando del Re Messia.
Herz Homberg (1749-1841) dice: secondo l'opinione di Rashi e Ibn Ezra, questo capitolo si riferisce ad Israele alla fine della cattività. Ma se è così, qual'è il significato del versetto "fu ferito per le nostre trasgressioni"? Chi fu ferito? Chi sono i trasgressori? Chi ha portato il dolore e la malattia? Il fatto è che questo capitolo si riferisce al re Messia.
Eliezer HaKalir ha messo in rima il capitolo nel 9° sec., e viene recitato allo Yom Kippur, nella preghiera di Kether.
Le parole del profeta Isaia sono parole di speranza. Abbiamo un glorioso futuro ed un abbondante presente se ci appropriamo della salvezza reas possibile dall'Uno che fu ferito per le nostre trasgressioni e colpito per le nostre iniquità.

In conclusione, io chiedo: ma dove nella Scrittura ebraica è detto che ogni generazione ha il suo Messia? E poi, cos'è un Messia? Un Messia è un Salvatore. Ma da cosa? Dai nemici politici? Davvero un buon governo cambierebbe le cose sulla terra? Le cose cambiano solo se cambia il cuore dell'uomo, e questo solo un Messia spirituale può farlo.
Il punto è se si pensa di dover essere salvati da qualcosa, a livello spirituale. Il discorso è puramente accademico, se si pensa di non avere bisogno di un Salvatore. Se si crede che la propria giustizia sia sufficiente per stare davanti al Santo, non c'è bisogno, ovviamente, di un Salvatore.

Nota aggiunta: Quali rabbini sostengono che Isaia 53 è un capitolo messianico e ha connessioni con Gesù? Daniel Zion, ex rabbino capo della città di Jaffa escluso dal ruolo dopo aver creduto in Yeshua, dà il seguente elenco: Mosheh El Sheikh, Yepheth Ben Ali, Don Ytzchak Abarbanel, lo Zohar, Rabbi Shimon Ben Yohai, Moshe Kohen Ibn Crispin, Rabbi Shlomoh Astric, Sa'adiyah Ibn Donan, Yoseph Albo, Meir Ben Shimon, Rabbi Samuel Lanyado, Midrash Konen, Asereth Memroth, Yakov Yoseph Mordecai Chaim Passami, Ytzchak Troki, Rabbi Naphtali Ben Asher Altshuler, Levi Ben Gershom, Rabbi Liwa di Praga.

venerdì 18 febbraio 2011

Yeshua e lo Shabat


Prima d’iniziare con questo capitolo, vorrei togliere la curiosità di coloro che probabilmente si domanderanno qual’è la mia filiazione teologica. Vi dico categoricamente che non sono un avventista, no, a me piace molto il vino e lo bevo volentieri, visto che non è affatto proibito dalle Scritture, ma piuttosto raccomandato. Certo, non è concesso l’eccesso come in tutte le cose che sono buone in essenza, ma possono essere male amministrate od utilizzate, e quindi diventano dannose o peccaminose − il sesso, per esempio, è qualcosa di sublime, che l’uomo ha degradato al livello di mercanzia nel commercio più basso. Ma usato come si deve, è meraviglioso. Il vino, quindi (e sia chiaro che quello senza alcool non è mai esistito in Israele, come ci vogliono far credere gli avventisti), non solo è permesso, ma “rallegra il cuore” (Salmo 104:15) ed è un’immagine della Torah. Ricordatevi che il primo miracolo di Yeshua fu proprio fare del vino, e non poco, addirittura dopo che era già finito (quindi, avevano bevuto i ragazzi), ed ha fatto pure della miglior qualità, il che vuol dire, di alta gradazione...
Dopo questo breve excursus e lasciando in chiaro che non appartengo a nessun movimento od organizzazione delle varie in circolazione con i più svariati nomi, come sabatisti o cose simili, ci addentriamo in questo argomento.
E venne a Natzaret, dov’era cresciuto, e com’era solito, entrò nel giorno di domenica nella chiesa... (Luca? 4:16...)
Come? Non avete trovato questo versetto? Ah, già, scusatemi, mi sono sbagliato, devo aver preso un evangelo apocrifo... Allora vi ritrasmetto il versetto, quello giusto: 
E venne a Natzaret, dov’era cresciuto, e com’era solito, entrò nel giorno di Shabat nella Sinagoga. (Luca 4:16)
Ecco, adesso ci siamo. L’avete trovato il versetto questa volta? Certo! E’ quello che avete nelle vostre Bibbie, anche voi, i "sunday boys".
Una delle principali tradizioni pagane con cui i cristiani hanno reso invalidi i comandamenti della Torah, addirittura uno dei Dieci −quelli che sono considerati assolutamente invariabili e fondamentali−, riguarda il giorno che Elohim ha ordinato sin dal principio come giorno da osservare particolarmente, il quale i cristiani hanno sostituito con un giorno stabilito dagli uomini, in base ad antiche tradizioni pagane relative al culto del sole, ovvero di Baal/Osiride/Mitra. I difensori del culto domenicale hanno inventato e continuano ad inventare ogni sorta di scuse per giustificarsi, scuse che purtroppo per loro, non possono trovare fondamento nella Bibbia. L’istituzione della domenica è intimamente collegata a tutte le feste pagane introdotte nel cristianesimo, le quali hanno profonde radici nella religione degli antichi Egizi, in Babilonia e nell’abominevole culto cananeo di Baal. Queste feste esecrabili agli occhi d’Elohim sono state
cristianizzate” nei concili della chiesa, principalmente quelli di Nicea e Laodicea, per conquistare il favore dei capi religiosi pagani e sostituire la “vecchia guardia” dei fedeli nazareni che fino a quel momento osservavano le Scritture − ed iniziò persino la persecuzione contro di loro. Così anche i riformatori s’accollarono l’eredità pagana della romana chiesa, la quale appunto, come dice la parola, loro hanno semplicemente “riformato”, ma non hanno de-paganizzato completamente, mantenendo molte tradizioni peggiori di quelle contro le quali il Rabbino di Natzaret si batteva per purificare il culto.
I cristiani chiamano la domenica “giorno del Signore”. Tale definizione non ha alcun fondamento biblico; nelle Scritture, il “giorno di Adonay” si riferisce sempre al giorno della resa dei conti, chiamato anche il “giorno dell’ira di Adonay” (cf. Apocalisse 1:10; Tzefanyah 2:2,3). D’altronde, se c’è un giorno della settimana che possa essere chiamato “giorno del Signore”, ce lo dice Yeshua stesso:
«Il Figlio dell’uomo è Signor dello Shabat» (Matteo 12:8; cf. Marco 2:28; Luca 6:5)
Tuttavia, i difensori del giorno consacrato al sole, credono di trovare una giustificazione biblica ed accusare Yeshua, come la fazione più fanatica dei farisei, d’essere stato un violatore dello Shabat, perché egli compiva atti necessari durante quel giorno. Sta di fatto che nel Giudaismo autentico, sia nell’interpretazione della Torah quanto nel Talmud, le guarigioni ed altri atti di misericordia compiuti da Yeshua sono perfettamente legittimi. In caso di necessità, sia nello Shabat che negli altri giorni solenni delle festività giudaiche, le guarigioni ed altri atti definiti di servizio alla vita, non solo sono permessi, ma espressamente comandati! Esempi di questo tipo si trovano scritti anche nel Talmud, il libro del Giudaismo considerato dai cristiani come la risposta ebraica al Nuovo Testamento. Quindi, coloro che accusavano Yeshua di profanare lo Shabat perché faceva delle cose dovute e prescritte come legittime, erano dei fanatici nello stesso modo che lo sono oggi quelli che sostengono su questa base la presunta giustificazione per consacrare il loro giorno romano del sole come sostituto di quello ordinato dall’Eterno dal principio ed osservato puntualmente sia da Yeshua che dai suoi apostoli.
I cristiani sostengono che lo Shabat è il giorno che Elohim ha ordinato agli Ebrei, ma non a tutta l’umanità: è molto facile confutare questa affermazione, la quale non ha alcun fondamento biblico. In realtà, lo Shabat è la prima cosa di cui le Scritture ci dicono che Elohim benedisse e santificò:
Il settimo giorno, Elohim compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera Sua. Ed Elohim benedisse il settimo giorno, e lo santificò, perché in esso Egli si riposò di tutta l’opera che aveva creata e fatta. (Genesi 2:2,3)
Evidentemente, non c’era ancora alcun popolo Ebreo quando Elohim dichiarò che il settimo giorno è Shabat, ovvero, il giorno di riposo, lo benedisse e santificò. Poi, alcuni secoli dopo, Elohim scrisse con il Suo dito, non avvalendosi da uomo alcuno, i Dieci Comandamenti.
Quando l’Eterno ebbe finito di parlare con Mosheh sul monte Sinai, gli dette le due tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte con il dito d’Elohim”. (Esodo 31:18)
Perché Elohim abbia scritto di Persona, con il Suo proprio dito, doveva essere qualcosa d’importante, di trascendente, d’immutabile, visto che tutte le Scritture sono state da Lui ispirate, ma scritte tramite i Suoi Profeti, invece queste parole Egli le scrisse personalmente. Cosa scrisse di così fondamentale? I Suoi comandamenti, tra i quali Egli ordinò anche questo:
Ricordati del giorno dello Shabat per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ in essi ogni opera tua; ma il settimo è Shabat, santo all’Eterno, il tuo Elohim. Non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figlio, né la tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero ch’è dentro le tue porte; poiché in sei giorni Adonay creò i cieli, la terra, il mare e tutto ciò ch’è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l’Eterno ha benedetto il giorno di Shabat e l’ha santificato”. (Esodo 20:8-11)
Erano questi Comandamenti soltanto per Israele? Se è così, allora i cristiani possono adorare altri déi, erigersi idoli, nominare il Nome d’Elohim invano, disprezzare i genitori, assassinare, commettere adulterio, rubare, calunniare, concupire le cose del prossimo? Se non sono tenuti a rispettare lo Shabat, non lo sono neanche nei riguardi degli altri nove! Non è a caso che la Torah fu data a Mosheh non nella Terra Promessa, Eretz Yisrael, ma in Sinai, ovvero, in un territorio assegnato ai gentili!
Questo comandamento, il quarto, contiene delle particolarità che apparentemente non sono prese in considerazione nel modo che dovrebbero esserlo:
In primo luogo, è l’unico dei Dieci che inizia con la parola
“ricordati”: questo significa che è qualcosa che esisteva già da prima, che era stato stabilito dal principio. Infatti, per ricordare una cosa, bisogna che essa sia stata ordinata in precedenza.
Questo è uno dei quattro Comandamenti che regolano il comportamento dell’uomo verso Elohim, mentre gli altri sei si riferiscono ai rapporti dell’uomo verso il suo prossimo. Notare che in nessuno di questi, il prossimo è determinato. Invece, questo è l’unico dei Comandamenti che nomina specificamente anche i gentili
: “Non fare in esso lavoro alcuno, né tu,... né lo straniero...”; evidentemente, lo Shabat doveva essere rispettato anche dai gerim, cioè, dai non-Ebrei. Lo Shabat non fu istituito solo per gli Ebrei, ma per tutta l’umanità, e non solo, perché abbiamo ancora un ulteriore elemento: “Non fare in esso lavoro alcuno, né tu,... né il tuo bestiame...”: forse gli animali sono anch’essi Ebrei? Essi sono invece parte della Creazione, e per questo motivo devono anch’essi essere lasciati in pace nel giorno che Elohim determinò sia di riposo. Risulta evidente che lo Shabat è l’unico Comandamento valido per l’intera Creazione!
Questi versi sopra citati si trovano nelle Scritture Ebraiche, le quali i cristiani considerano invalidate (dalla loro tradizione). Vediamo quindi quali sono le indicazioni che ci da il Nuovo Testamento riguardante il giorno da consacrare specialmente al culto:
E vennero in Kefar-Nahum, e subito, lo Shabat, Yeshua, entrato nella Sinagoga, insegnava. (Marco 1:21)
E quando venne lo Shabat, [Yeshua] si mise ad insegnar nella Sinagoga. (Marco 6:2)
E venne a Natzaret, dov’era cresciuto; e com’era solito, entrò di Shabat nella Sinagoga, e alzatosi per leggere, gli fu dato il rotolo del Profeta Yeshayahu. (Luca 4:16,17)
E scese a Kefar-Nahum, città di Galilea, e vi stava ammaestrando il popolo nei giorni di Shabat. (Luca 4:31)
Or avvenne in un altro Shabat ch’egli entrò nella Sinagoga, e si mise ad insegnare. (Luca 6:6)
Or egli stava insegnando in una Sinagoga in giorno di Shabat. (Luca 13:10)
Nel Nuovo Testamento possiamo soltanto trovare conferma che lo Shabat è il giorno dedicato al culto, il quale Yeshua stesso osservò, come è stato ordinato dal Padre sin dalla Creazione. Yeshua non ci ha dato alcuna indicazione di trasferire la solennità dello Shabat ad un altro giorno. Dopo la sua risurrezione − che è la scusa principale che presentano i cristiani per consacrare il loro culto nel primo giorno della settimana, argomento che vedremo più avanti − verifichiamo se gli apostoli hanno fatto diversamente:
Ed essi, passando oltre Perga, giunsero ad Antiochia di Pisidia; e recatisi lo Shabat nella Sinagoga, si posero a sedere. E dopo la lettura della Torah e dei Profeti, i capi della Sinagoga mandarono a dire loro: «Fratelli, se avete qualche parola d’esortazione da rivolgere al popolo, ditela». (Atti 13:14,15)
E quando i Giudei uscivano dalla Sinagoga, i gentili pregarono loro di parlare di quelle medesime cose al popolo lo Shabat seguente... E lo Shabat successivo, quasi tutta la città si radunò per udire la parola d’Elohim. (Atti 13:42,44)
E di là ci recammo a Filippi, città capitale di quella regione della Macedonia, che è colonia romana... E nel giorno di Shabat andammo fuori della porta, presso il fiume, dove supponevamo fosse un luogo d’orazione, e seduti, parlavamo alle donne ch’erano quivi radunate... Ed ella fu battezzata con quelli della sua casa... (Atti 16:12,13,15)
E Shaul, secondo la sua usanza, andò da loro e per tre Shabat tenne con loro ragionamenti sulle Scritture. (Atti 17:2)
Ed ogni Shabat parlava nella Sinagoga, e persuadeva Giudei e Greci. (Atti 18:4)
Shaul, l’apostolo dei gentili, predicava anch’egli ogni Shabat, e non solo agli Ebrei, ma anche ai gentili! E predicava la Torah! Ai gentili! In nessun caso ci si dice che egli abbia minimamente accennato che si dovesse sostituire lo Shabat per il primo giorno della settimana. Shaul insegnò anche i suoi discepoli gentili di radunarsi ogni Shabat per il culto, secondo com’era stato ordinato da Elohim. Erano già diversi anni che la risurrezione di Yeshua era accaduta, ma gli apostoli e tutti i discepoli ancora celebravano il culto ogni Shabat. Se l’apostolo Shaul avesse voluto trasmettere un cambiamento di programma, un’innovazione, proclamando il primo giorno della settimana come quello in cui si doveva rendere culto, quale migliore occasione di questa per farlo? Era stato pregato dai capi della Sinagoga d’esprimere quello che aveva da dire, i gentili erano pronti ad ascoltarlo, ed egli persuadeva Giudei e gentili! Perché non diede quest’ordine di sostituire lo Shabat con il primo giorno della settimana? Evidentemente, perché non era assolutamente nei piani dell’Eterno. Infatti, in Atti 13:29-37, egli parla sulla risurrezione di Yeshua in maniera convincente, ma non fa alcuna menzione della presunta dedicazione del primo giorno della settimana come quello che i credenti nel Messia di Natzaret debbano osservare al posto del giudaico Shabat. Nemmeno una parola. Notare che queste persone che chiedono lui d’insegnarli la verità erano gentili, non Ebrei! Non avevano alcun legame né religioso né culturale con lo Shabat ebraico. Potevano benissimo essere indottrinati senza l’influenza del Giudaismo. Shaul, detto Paolo, pronto a discutere ardentemente con Kefa e con tutti gli apostoli di Yerushalaym per far valere la sua opinione, non dice niente sulla consacrazione della domenica! Continua ad osservare lo Shabat, e lo insegna anche ai gentili! Questi gli chiedono espressamente di parlare loro del messaggio che egli predicava, erano veramente desiderosi di ascoltarlo; tuttavia, Shaul non dice loro ‹ci vediamo domani per il culto›, ma li fa aspettare fino allo Shabat successivo! Come mai non c’era la riunione anche la domenica? Non era quella una chiesa cristiana? Shaul, detto Paolo, l’apostolo dei gentili, il rivoluzionario predicatore del nuovo messaggio, il giorno di domenica probabilmente lavorava o era impegnato con le sue attività giornaliere, perché il giorno prescelto dal suo Signore per celebrare il culto era lo Shabat.
Più avanti, in Europa, Shaul trova delle donne che si riunivano per adorare Yeshua di Natzaret nel giorno di Shabat. Esse erano gentili, non Ebree. L’apostolo, se fossero state nell’errore, seguendo una dottrina “giudaizzante” (così definiscono oggi i pastori cristiani a coloro che vogliono ubbidire i comandamenti d’Elohim), le avrebbe corretto, insegnandole la sana dottrina, la retta via, e senz’altro le avrebbe detto ‹sorelle, non osservate più questo giorno, siete nella grazia, non più sotto la Legge›... invece, nel giorno di Shabat, egli le battezzò! C’è qualcosa che non quadra con l’insegnamento della maggioranza dei cristiani...
Da dove tirano fuori i cristiani la loro teoria che si debba consacrare la domenica? Non dalla Bibbia! C’è bisogno ancora di ulteriore conferma? leggiamo ciò che scrisse l’autore della lettera detta “agli Ebrei” (che non era Shaul, ma di questo parleremo più avanti):
Rimane dunque il riposo dello Shabat per il popolo d’Elohim. (Ebrei 4:9)
Ciò vuol dire che è lo Shabat il giorno riservato al popolo d’Elohim. Yeshua, nella sua profezia sugli avvenimenti degli ultimi tempi, disse:
«E pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno, né di Shabat». (Matteo 24:20)
Per quale motivo Yeshua esorta a pregare che non si debba fuggire durante lo Shabat, se questo giorno non è quello da osservare? Che senso avrebbe una tale preghiera in un tempo futuro, se lo Shabat non fosse ancora il giorno che si deve dedicare all’adorazione d’Elohim? Evidentemente, Yeshua non era stato informato che le cose sarebbero state cambiate, ed ha profetizzato senza adeguarsi alla nuova situazione... Oppure, si sono sbagliati coloro che hanno deciso senza alcun fondamento scritturale, d’osservare il primo giorno della settimana al posto dello Shabat! Quale delle due possibilità è più credibile?
Yeshua parlava della persecuzione contro il popolo d’Elohim, e convalida lo Shabat come il giorno che esso deve osservare. Nell’Apocalisse abbiamo descritte due caratteristiche di questo popolo perseguitato:
Ed il dragone s’adirò contro la donna ed andò a far guerra contro il rimanente della sua progenie, che osserva i comandamenti d’Elohim e ritiene la testimonianza di Yeshua. (Apocalisse 12:17)
Qui è la costanza dei santi, coloro che osservano i comandamenti d’Elohim e la fede in Yeshua. (Apocalisse 14:12)
Notate qualcosa di particolare? Quali sono le caratteristiche dei santi? La prima di queste è che osservano i comandamenti! Allora perché i cristiani insistono che basta solo la seconda di queste caratteristiche? E come possono essi ritenere la testimonianza di Yeshua, che osservò lo Shabat ed insegnò ad osservarlo, se loro non lo fanno? “Chi dice di dimorare in lui [o di ritenere la sua testimonianza], deve camminare nello stesso modo ch’egli camminò”. Egli, Yeshua, camminò osservando tutti i comandamenti, incluso il “più minimo”, e non ha mai esonerato nessuno dal dover farlo.
Tuttavia, ci sono due versetti dai quali i cristiani prendono spunto, arrampicandosi sugli specchi, per giustificare la loro posizione in difesa della domenica:
E nel primo giorno della settimana, mentre eravamo radunati per rompere il pane, Shaul, dovendo partire al sorgere il giorno, ragionava con loro e continuò il suo discorso fino a mezzanotte. C’erano molte lampade nella camera superiore, dove eravamo radunati. E un certo giovinetto,... fu preso di profondo sonno; e come Shaul tirava in lungo il suo discorso, sopraffatto dal sonno, cadde... Ed essendo risalito, [Shaul] ruppe il pane e prese cibo; e dopo aver ragionato a lungo sino all’alba, senz’altro partì. (Atti 20:7-9,11)
«Ogni primo giorno della settimana ciascun di voi metta da parte a casa quel che potrà secondo la prosperità concessagli, affinché, quando verrò, non ci sian più collette da fare». (1Corinzi 16:2)
Esaminiamo prima il brano del Libro degli Atti:
Innanzitutto, bisogna tener presente come si contano i giorni nella Bibbia − che è come lo fanno tuttóra gli Ebrei: dal tramonto al tramonto; ossia, la prima parte del giorno è in realtà la sera e la notte, e la seconda parte è il mattino ed il pomeriggio, fino al tramonto, quando inizia il giorno successivo. Così leggiamo in Genesi i giorni della Creazione: “
fu sera, poi fu mattina” (Genesi 1:5,8,13,19,23,31), e così è come si contano i giorni in tutte le Scritture. Poi, bisogna considerare i tempi verbali. Quindi, noi possiamo facilmente capire in quale momento si svolgono gli eventi, e a cosa si riferiscono: “mentre eravamo radunati per rompere il pane”, frase che i cristiani senza pensarci due volte interpretano come la celebrazione della santa cena, in realtà non dice assolutamente che questo “rompere il pane” abbia a che fare con il culto o l’adorazione (come vedremo nel verso 11), ma semplicemente con la necessità fisiologica dell’alimentazione, visto che Shaul doveva partire la mattina presto. Infatti, “mentre eravamo radunati” indica continuità, un azione che si protrae da un momento precedente. E’ parte dei costumi giudaici mangiare assieme dopo la celebrazione del culto, atto che si chiama “kiddush”, l’equivalente di ciò che i cristiani comunemente chiamano “agape”. Quindi, questo primo giorno della settimana è quello che per noi in occidente si definisce come "sabato sera"; infatti, che era buio si capisce dal fatto che c’erano molte lampade dov’erano riuniti, e Shaul continuava il suo insegnamento che aveva naturalmente iniziato durante lo Shabat. La tavola era apparecchiata perché egli doveva partire al sorgere il giorno, ovvero al mattino, e quindi si erano avviati a mangiare, ma egli continuava il suo discorso. Si prolungò fino a tarda notte, quando accadde il fatto d’Eutico che s’era addormentato. Finalmente, Shaul ruppe il pane, e ci viene anche detto perché: per prendere cibo (non per celebrare la santa cena!), e poi, all’alba, che era ancora lo stesso primo giorno della settimana, giorno lavorativo, egli partì. Inutile che i predicatori insistano che si trattava della domenica sera, perché è semplicemente impossibile che l’autore abbia considerato la scadenza del giorno all’occidentale, non essendo assolutamente in vigore il sistema orario che normalmente conosciamo oggi. Inoltre, qui non dice che ci siano stati momenti d’adorazione o di preghiera, cosa che avevano già fatto durante il giorno, nello Shabat, ma semplicemente che Shaul, dovendo partire, ha voluto dare il suo insegnamento perché questi fedeli avessero la possibilità d’ascoltare il più possibile prima della sua partenza. In pratica, si tratta di uno studio biblico, non della riunione principale in cui l’adorazione e la preghiera sono gli elementi fondamentali. Quindi, questo brano non da alcun suggerimento in favore di un culto domenicale, ma piuttosto lo confuta, perché Shaul partì quello stesso giorno al mattino, cosa che non avrebbe fatto se fosse stato lo Shabat, il giorno in cui egli celebrava il culto.
In quanto al secondo brano, 1Corinzi 16:2, è puntualmente interpretato come una raccolta dell’offerta durante il culto, com’è consuetudine nelle chiese cristiane. Se i predicatori facessero un po’ più d’attenzione a quello che è scritto, considerando le parole nel modo corretto, non ci vorrebbe molto perché arrivassero alla conclusione giusta: “ciascun di voi metta da parte a casa quel che potrà” − a casa o durante il culto?... In realtà, non c’è il minimo accenno ad una riunione, né che questa raccolta faccia parte dell’adorazione. Ciò che Shaul consiglia è molto chiaro: che si metta da parte quello che si ha in cuore d’offrire già nel primo giorno lavorativo, perché non sia poi speso durante la settimana, come normalmente succede se non si separa il denaro da risparmiare. In questo modo, quando egli verrà, ognuno avrà già pronta la propria offerta, senza bisogno di dover fare una raccolta ad ultimo momento. Non c’è in questo brano alcun accenno al giorno in cui si celebra il culto − in ogni caso, in tutto il Nuovo Testamento, quando il giorno in cui si radunavano i discepoli per l’adorazione è specificato, dice chiaramente che era lo Shabat. Certamente, questo brano non è sufficiente per giustificare il culto domenicale, di cui nemmeno parla. In realtà, i predicatori, molto impegnati ad insegnare al popolo che si devono dare molte offerte, e anche la decima (un comandamento della “Legge”, del quale il Nuovo Testamento non fa’ parola!) utilizzano anche questo verso per prendere due piccioni con una fava: convincere le persone di celebrare il culto la domenica, e di dare molte offerte − le quali, prendendo letteralmente l’insegnamento di Shaul, dovrebbero raccogliersi soltanto in quel giorno, “affinché, non ci sian più collette da fare”, tuttavia, nelle chiese cristiane si raccoglie l’offerta ogni volta che c’e il culto, in qualsiasi giorno della settimana... E poi, l’importanza di dare la decima è un chiaro esempio che per i cristiani la “Legge” a volte e valida, dipende se conviene o meno.
Tuttavia, ci sono altri versi nel Nuovo Testamento che i cristiani usano in difesa del loro culto domenicale, ma ciò indica soltanto che questi esegeti hanno dei grossi problemi con la matematica:
Or la sera di quello stesso giorno, ch’era il primo della settimana, ed essendo, per timore dei Giudei, serrate le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, Yeshua venne e si presentò in mezzo a loro, dicendo: «Shalom aleichem!»... E otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Toma era con loro. Yeshua venne, a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, dicendo: «Shalom aleichem!» (Yohanan 20:19,26)
Il primo episodio avvenne nella sera del giorno in cui i discepoli scoprirono ch’era risorto, ovvero, il primo della settimana, verso la fine di quel giorno (perché, essendo sera, doveva iniziare al tramonto il secondo giorno). Intanto, non dice che essi stavano celebrando alcun culto nel momento in cui Yeshua apparve, ma erano semplicemente chiusi in casa perché avevano paura. Aggiungere alle parole della Bibbia situazioni che pensiamo siano probabili non sono sicuramente il modo corretto di stabilire una certezza sulla quale fondare una dottrina. Potevano, forse, trovarsi in preghiera, ma non ci è detto. Era domenica sera, alla scadenza del giorno, quando Yeshua si presentò. Il secondo episodio avvenne otto giorni dopo, e qui sembra che per gli esegeti cristiani la matematica improvvisamente diventa un’opinione, perché: come fa ad essere anche questo il primo giorno della settimana? La prima apparizione fu domenica sera, otto giorni dopo, era anch’esso domenica? Incredibile! Mi ricorda la storiella di quell’Ebreo che, avendo trovato una borsa piena di denaro, molto pesante, proprio un giorno di Shabat, pregò Elohim ed Egli trasformò quel giorno in domenica, in modo tale che questo Ebreo potesse trasportare il peso senza violare il comandamento... Infatti, otto giorni dopo la domenica è lunedì, e prendendo in considerazione che era già verso la fine del giorno, poteva addirittura essere un martedì. Nella Bibbia le matematiche sono una scienza esatta. Il settimo giorno è quello che precede l’ottavo, e l’ottavo è quello dopo il settimo:
«Rimarrà sette giorni presso la madre; l’ottavo giorno, me lo darai» (Esodo 22:30)
«Starà sette giorni sotto la madre; dall’ottavo giorno in poi, sarà gradito come sacrificio» (Levitico 22:27)
... sarà impura sette giorni... l’ottavo giorno si circonciderà la carne del prepuzio del bambino”. (Levitico 12:2,3)
Per sette giorni si farà l’espiazione per l’altare... E quando quei giorni saranno compiuti, l’ottavo giorno e in seguito...(Yehezkel 43:26,27)
Ci sono molti altri esempi come questi nelle Scritture, in cui le teorie della matematica non vengono smentite. Tuttavia, se qualcuno ha dei dubbi su come si contano i giorni, è interessante considerare i seguenti due brani:
 ... Shlomo celebrò una festività, e tutto Israele con lui... per sette giorni, e poi per altri sette, in tutto quattordici giorni”. (1Re 8:65)
Le purificazioni cominciarono il primo giorno del primo mese, e l’ottavo giorno dello stesso mese vennero al portico dell’Eterno, e per otto giorni purificarono la Casa dell’Eterno; il sedicesimo giorno del primo mese avevano finito”. (2Cronache 29:17)
Ecco come si contano i giorni! Non c’è alcun mistero, né formule kabbalistiche: 7+7=14; 8+8=16. Quindi, lo stesso criterio matematico è valido sempre, e se Yeshua si presentò ai discepoli domenica sera, otto giorni dopo era per forza lunedì, oppure, se quella prima volta si fermò con loro e quando se ne andò era già lunedì, otto giorni dopo era martedì. Questo gli esegeti che difendono l’osservanza della domenica non lo riescono a capire. Sono comunque sicuro che, se nel testo di Yohanan 20:26 fosse scritto sette giorni dopo”, essi non avrebbero interpretato che si trattava del sabato, ma avrebbero fatto bene i conti e rimarrebbe sempre, come piace a loro, domenica.
Quindi, non c’è nella Bibbia nessun ordinamento che stabilisca la solennità del primo o dell’ottavo giorno? Certo che c’è! Come no! Proprio nella Torah! Addirittura, sono giorni nei quali si deve proclamare santa convocazione e solenne radunanza! Leggiamo:
Per sette giorni mangerete pani azzimi... dal primo giorno fino al settimo... E il primo giorno avrete una santa convocazione, ed una santa convocazione il settimo giorno. Non si faccia alcun lavoro in quei giorni; si prepari soltanto quel ch’è necessario a ciascuno per mangiare, e non altro. Mangiate pani azzimi dalla sera del quattordicesimo giorno del mese, fino alla sera del ventunesimo giorno. (Esodo 12:15,16,18)
Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sull’imbrunire, sarà la Pesach dell’Eterno; ed il quindicesimo giorno dello stesso mese sarà la festività dei pani azzimi... Il primo giorno avrete una santa convocazione; non farete in esso alcun lavoro... Il settimo giorno avrete una santa convocazione; non farete in esso alcun lavoro. (Levitico 23:5-8)
Il settimo mese, il primo giorno del mese, avrete un Shabat solenne, una commemorazione fatta a suono di tromba, una santa convocazione. Il quindicesimo giorno di questo settimo mese sarà Sukkot durante sette giorni, in onore dell’Eterno. Il primo giorno vi sarà una santa convocazione, non farete alcun lavoro... L’ottavo giorno avrete una santa convocazione... è giorno di solenne radunanza, non farete alcun lavoro”. (Levitico 23:24,34-36)
C’è soltanto un particolare: questi “primo giorno” ed “ottavo giorno” non sono quelli della settimana, ma quelli delle festività! Infatti, questi sono determinati dal mese − il primo del mese, il quattordicesimo, il ventunesimo... I primi due brani si riferiscono alla Pesach e alla celebrazione di Matzah, dal 14 al 21 di Nisan/Aviv; il terzo passo regola le festività di Yom Teruah (Rosh HaShanah), il primo di Tishri/Etanim, e Sukkot, dal 15 al 23 di Tishri/Etanim. Quindi, primo giorno del mese non è lo stesso che primo giorno della settimana; nel calendario ebraico, come in quello occidentale a noi conosciuto, i giorni del mese non coincidono con l’ordine settimanale, e quindi, questo “primo giorno” della festività può occorrere in qualsiasi giorno della settimana. Magari i cristiani a cui la loro domenica è tanto cara s’erano un po’ illusi, ma purtroppo per loro, non c’è speranza alcuna di santificare la domenica, a meno che essa sia proprio in coincidenza con un giorno di festività giudaica.
Visto che dalle Scritture non si può neanche prendere uno spunto per spiegare il perché i cristiani − salvo rare eccezioni − osservano il primo giorno della settimana anziché quello ordinato da Elohim, ci chiediamo quale sia l’origine di tale innovazione, e quando essa sia stata introdotta. La tradizione del cristianesimo nella sua forma attuale risale in realtà a secoli prima della nascita di Yeshua di Natzaret; i giorni festivi e le cerimonie ad essi connesse esistevano già nell’antico Egitto, in Babilonia, nell’India, in Grecia e Roma. E’ da queste antiche tradizioni che si sono tramandati simboli come l’albero di natale e la croce, caratteristiche architettoniche come rosoni, ogive, torri ed obelischi, e feste come il natale, la pasqua, e l’osservanza della domenica. Esporre tutti questi elementi richiederebbe uno studio a sé, il che non è il proposito di questo sito; tuttavia, tratteremo sommariamente alcuni di questi punti quando sarà opportuno se collegato ad argomenti di cui ci occupiamo in questo studio, come ad esempio in questo caso, l’origine del culto domenicale.
Infatti, i sacerdoti del sole nell’antico Egitto rendevano omaggio alla loro divinità il primo giorno della settimana, al mattino perché è quando il sole sorge (contrariamente alle festività ebraiche, che puntualmente iniziano al tramonto). In quel giorno essi condividevano una sottile cialda in forma circolare, che rappresentava il disco solare, ovvero, un’ostia. Essa era custodita in un ostensorio con la forma del sole, con i raggi intorno al disco centrale − avete visto questo oggetto in qualche luogo di culto? Come parte del rituale, i sacerdoti Egizi disegnavano con le mani sul loro petto il segno della croce, simbolo che si trova in ogni monumento egizio, conosciuto comunemente con il nome di
ankh. Nella loro cerimonia domenicale, essi celebravano la morte e risurrezione d’Osiride. Questa è la base teologica di tutte le religioni pagane che hanno poi contribuito alla definizione del cristianesimo greco-romano. Il culto cananeo di Baal era simile, fondato sui misteri di Tamuz, il figlio di Ashtarte compianto durante la quaresima (Yehezkel 8:14). Per queste religioni il primo giorno della settimana era sacro, perché rappresentava l’inizio della vita, concetto fondamentale nei culti solari e fallici, come lo erano quello egizio, cananeo e romano. A chi volesse informazione dettagliata sugli elementi del paganesimo adottati dal cristianesimo, raccomando di consultare "The Two Babylons", Alexander Hislop, Loizeaux Brothers, Neptune, New Jersey, 1916 (prima edizione), in inglese.
La quarta bestia è un quarto regno sulla terra... Egli proferirà parole contro l’Altissimo, ridurrà allo stremo i santi dell’Altissimo, e penserà di mutare i tempi e la legge”. (Daniel 7:23,25)
Questa figura della quarta bestia è universalmente identificata con l’Impero Romano nelle sue varie forme, che si ripresenta nella fine dei tempi − in pratica, rappresenta tutti gli imperi dell’occidente, i quali hanno in un modo o l’altro ricevuto l’eredità di Roma, principalmente nell’ambito religioso. Questo soggetto usa il suo potere politico per “mutare i tempi e la legge”, che nel linguaggio del Profeta si può parafrasare come “cambiare il sistema ordinato dall’Altissimo alterando il calendario e sostituendo i comandamenti”; infatti, questo atto di mutare i tempi e la legge non è una cosa leggera, ma è compiuto direttamente contro l’Altissimo e contro i Suoi santi, come il Profeta ci spiega chiaramente.
Ci sono, inoltre al Nuovo Testamento, diversi documenti e prove storiche che nei primi quattro secoli successivi all’era apostolica, i cristiani osservavano lo Shabat nel settimo giorno della settimana, ed era il giorno scelto per celebrare il culto principale. Lo storico Giuseppe Flavio, in riferimento all’espansione del messaggio evangelico nel primo secolo scrisse: “Non c’è alcuna città dei Greci, né dei barbari, né di qualsivoglia nazione, in cui la nostra usanza di riposare lo Shabat non sia stata introdotta”.
Lo Shabat rappresentava per i Romani un’odiosa pratica dei Giudei, popolo che si ribellò diverse volte contro l’autorità imperiale e che, irriducibile, costrinse i Romani a distruggere Yerushalaym ed espellere i Giudei dalla loro terra, dando inizio alla Diaspora. Il fatto che i discepoli del Nazareno, anche non essendo Giudei, avessero la stessa Legge di questi, dava profondo fastidio all’impero. Così Vespasiano e Domiziano imposero delle tasse suppletive a tutti coloro che osservavano lo Shabat. Poi Adriano, nel 135 CE mise fuorilegge il riposo sabbatico; ciononostante, Giudei e cristiani continuarono ad essere fedeli al comandamento d’Elohim. 
Tuttavia, dovettero ancora passare due secoli di persecuzioni da parte dell’impero perché, nell’ambito cristiano, lo Shabat fosse gradualmente sostituito dal giorno sacro al sole, imposto dal potere politico-religioso imperiale. Nel 321 CE, il famigerato Costantino, l’imperatore "cristiano", fervente adoratore del sole, il quale, dopo la sua "conversione" al cristianesimo compì diversi crimini ed omicidi atroci anche contro membri della sua famiglia, decretò:
Nel venerabile giorno del sole, i magistrati ed il popolo residente nelle città dovrà riposare, e tutti i negozi saranno chiusi. Soltanto nelle campagne gli agricoltori potranno lavorare perché il giorno successivo potrebbe non essere idoneo per seminare e piantare”. − Codex Justinianus, lib. 3, tit. 12, 3.
Poi, nel 325 CE fu istituito il concilio di Nicea, nel quale l’imperatore impose di cambiare in tutto l’Impero Romano il giorno di culto sostituendo lo Shabat, osservato dai cristiani, con il giorno del sole (domenica), per condiscendenza con i pagani, i quali per legge dovevano accettare il cristianesimo, nuova religione ufficiale dell’impero. Da quel momento in poi, migliaia di cristiani furono messi a morte perché continuavano ad osservare lo Shabat e non la domenica. Altri iniziarono a dedicare entrambi giorni al culto, per non abbandonare lo Shabat istituito da Elohim e non disubbidire all’autorità politica. La storia ci attesta che nel corso dei secoli, milioni di persone furono uccise per opporsi ai dettami della chiesa cattolica romana, i quali erano eseguiti dall’autorità civile. In questo stesso concilio di Nicea, la Pesach cristiana fu sostituita con la pasqua romana che si festeggia tuttóra − vedremo questo argomento più avanti, nel capitolo riguardante l’ultima cena e la risurrezione.
A questo concilio seguì quello di Laodicea in Frigia Pacatiana nel 363-364 CE. Il nome "Laodicea" vi dice qualcosa? Nel canone XXIX il concilio decretò:
I cristiani non devono giudaizzare riposando nello Shabat, ma devono lavorare quel giorno e riposare di domenica. Se qualcuno è còlto nell’atto di giudaizzare, sia dichiarato anatema a Cristo”. La chiesa determinò che essi fossero messi a morte. Le leggi divennero talmente severe, che nessuno poteva avere un lavoro, né intraprendere un’attività commerciale o concludere un affare se non accettava di lavorare durante lo Shabat e riposare la domenica. Proprio come profetizzato nell’Apocalisse: “E faceva sì che nessuno potesse comprare o vendere, se non chi avesse il marchio” (13:16,17). E’ interessante il fatto che questo marchio dev’essere messo sulla mano destra o sulla fronte, proprio come il giorno solenne ordinato dall’Eterno doveva essere come un segno sulla tua mano, come un memoriale fra i tuoi occhi, affinché la Legge dell’Eterno sia nella tua bocca” (Esodo 13:9). Il concilio di Laodicea fu l’inizio dell’adempimento di questa profezia, introducendo il primo elemento che può identificarsi come uno dei componenti del marchio della bestia romana, un segno che sostituisce quello stabilito da Elohim − anche se non il marchio nella sua complessità, che è piuttosto un insieme di elementi, leggi e costumi.
Questo stesso decreto costituisce una prova che fino a quel momento, i cristiani osservavano lo Shabat, altrimenti, che senso avrebbe emanare una legge contro qualcosa che nessuno fa? Infatti tutti i documenti dell’epoca e quelli precedenti ci confermano che i cristiani niente sapevano della domenica come giorno di culto fino a quando i pagani introdussero le loro leggi, feste e costumi, ufficializzati dal potere politico.
Per concludere con questo capitolo, vorrei aggiungere alcuni dati storici per ulteriore conferma di ciò che è stato esposto. Naturalmente, l’Evangelo fu predicato anche fuori dai confini imperiali. Molti degli apostoli si diressero in Oriente: Nataniel, Taddai e Toma predicarono in Assiria, Kefa scrisse da Babilonia (1Kefa 5:13) − l’interpretazione che essa possa riferirsi a Roma è puramente speculativa, di fatto, se Kefa (più conosciuto come Pietro) fosse mai stato a Roma, l’apostolo Shaul, detto Paolo, l’avrebbe senz’altro nominato tra coloro i quali egli saluta nella sua lettera ai Romani. Assiria fu la prima nazione che accettò in massa l’Evangelo, come predetto da Yeshua (Matteo 12:41; Luca 11:32) ed i missionari Assiri portarono il messaggio fino in Cina. Toma giunse in India, dove esiste una comunità di credenti in Yeshua sin dal primo secolo. Nel libro degli Atti 8:27-39 abbiamo la testimonianza che fu trasmesso anche in Etiopia. In tutte queste nazioni, i cristiani osservavano lo Shabat prima che i missionari occidentali imponessero le loro nuove teorie e pratiche.
Quando i brutali gesuiti arrivarono in India, il loro capo richiese al vescovo cattolico di Roma (il cui titolo è "pont-max", ereditato dagli imperatori), che instaurasse in India l’inquisizione per estirpare il “Giudaismo”, riferendosi all’osservanza dello Shabat. Centinaia di persone furono condannate al rogo, quasi la totalità di essi non erano affatto Giudei, ma dichiararono d’essere stati sempre cristiani, da secoli! Tuttavia, non si piegarono all’imposizione dei pagano-cristiani europei, e subirono il supplizio per fedeltà all’Evangelo.
Questa stessa istituzione criminale, i gesuiti, nel 1604 CE esercitarono forti pressioni sul re d’Etiopia affinché esso aderisse a Roma e proibisse i suoi sudditi cristiani di osservare lo Shabat.

Alle prove storiche s’aggiunge anche un’evidenza linguistica: i nomi dei giorni della settimana provengono da quelli dei pianeti, i quali sono nomi di divinità pagane. In tutte le lingue europee ad eccezione di quelle germaniche, il settimo giorno è chiamato da un nome derivato direttamente da Shabat, il che dimostra quanto importante è stata l’influenza dei primi cristiani in questa scelta. Infatti, così abbiamo in italiano sabato, in spagnolo e portoghese sábado, in romeno sâmbata, in greco sabbaton, in russo e serbo subbota, nelle altre lingue slave sobota, in ungherese szombat, ecc. Il fatto che invece nelle lingue germaniche non sia così è molto significativo, ed ha una spiegazione: i popoli germanici abbracciarono il cristianesimo nel medioevo, quando ormai esso era in piena apostasia ed si erano già introdotti tutti gli elementi pagani greco-romani (ai quali i germanici aggiunsero i loro, per completare), quindi, i nomi dei giorni continuarono ad essere quelli degli déi germanici, compreso il primo giorno, consacrato al cosiddetto culto cristiano, che continua a chiamarsi
Sun-day/Sonn-tag, ovvero, "giorno del sole".
Abbiamo detto che gran parte delle tradizioni cristiane sono originate nell’antico Egitto, una di esse è nominare i giorni secondo i pianeti, ai quali a sua volta è attribuita una caratteristica. Così come il primo giorno era dedicato al sole, il settimo era invece sotto il nefasto Saturno, in onore del quale nessuno celebrava alcuna festa. Così il giorno benedetto dall’Eterno nella Creazione, fu offuscato dai pagani sotto un segno negativo − e tuttóra i cristiani britannici ed americani, coloro che si reputano i missionari del mondo, chiamano il loro settimo giorno Satur-day!
Per concludere, riporto alcuni dati storici e citazioni di personaggi autorevoli, tutti i quali, malgrado abbiano osservato la domenica, hanno comunque riconosciuto il loro errore dando testimonianza che in origine esso proviene dal paganesimo e che l’unico giorno che Elohim ci ha dato per dedicare specialmente all’adorazione è lo Shabat biblico. (Nelle citazioni, logicamente, non riporto i nomi ebraici come Yeshua o Mosheh, ma il nome tradotto, secondo come è stato scritto dagli autori).
· “I cristiani antichi erano molto zelanti nell’osservanza dello Shabat, il settimo giorno. E’ chiaro che tutte le chiese orientali e la maggior parte del mondo osservavano lo Shabat come giorno festivo. Nella stessa maniera, Atanasio ci attesta che tenevano assemblee di culto durante lo Shabat, non perché fossero influenzati dal Giudaismo, ma per rendere adorazione a Gesù, Signore dello Shabat. Epifanio dice lo stesso”. − Antiquities of the Christian Church, vol. II, book XX, cap. 3, sec. 1, 66.1137, 1138.· “Osserverai lo Shabat, in ubbidienza a Colui che terminò la Sua opera di Creazione, ma non ha cessato la Sua opera di provvidenza: è un riposo per la meditazione della Torah, non per la pigrizia delle mani”. − Costituzione dei Santi Apostoli, i Padri Anti-Niceni, vol. 7, pag. 413; un compendio di documenti del terzo e quarto secolo.· “Già nell’anno 225 CE esistevano patriarcati e concili della Chiesa d’Oriente, osservante dello Shabat, da Canaan fino all’India”. − Mingana, Early Spread of Christianity, vol. 10, pag. 460.· “Nessuno dei padri prima del quarto secolo ha identificato il primo giorno della settimana con lo Shabat; né l’ osservanza del primo giorno ha alcun fondamento nel quarto comandamento né nei precetti o nell’esempio di Cristo e dei suoi apostoli. E’ incontestabile il fatto che la prima legge, sia ecclesiastica che civile, per cui l’osservanza sabbatica è stata trasferita al primo giorno della settimana è l’editto di Costantino nel 321 CE”. − Chamber’s Encyclopædia, vol. VIII, pag. 401, ed. 1882, articolo "Sabbath".· “La prima volta che l’osservanza della domenica è riconosciuta risale ad una costituzione di Costantino dell’anno 321 CE, che decreta che tutte le corti di giustizia e tutti gli abitanti delle città ed i negozi erano obbligati a riposare nel giorno del sole”. − Encyclopædia Britannica, 11th edition, vol. 26, pag. 95, articolo: "Sunday".· “L’osservanza dello Shabat era pratica generale nelle chiese orientali, ed anche in alcune occidentali. Nella chiesa di Milano, lo Shabat era tenuto in grande stima. Non perché le chiese orientali o qualcun’altra del resto del mondo osservasse lo Shabat era inclinata verso il Giudaismo, ma esse si riunivano in quel giorno ad adorare Gesù Cristo, Signore dello Shabat”. − History of the Sabbath, part II, par. 5, pagg. 73,74, Londra, 1636, Dr. Heylyn. Questa particolarità della chiesa di Milano è nota, infatti Ambrogio, il più celebre dei vescovi di questa città, dichiarò che egli a Milano osservava lo Shabat, ma quando andava a Roma, osservava la domenica. · “Fino al quinto secolo l’osservanza dello Shabat giudaico fu praticata nella chiesa cristiana”. − Ancient Christianity Exemplified, Lyman Coleman, cap. 26, sec. 2, pag. 527.· “Sin dall’istituzione dello Shabat nella Creazione... c’è stata una linea continua di uomini fedeli a Dio che hanno osservato il settimo giorno della settimana... Nella chiesa d’Occidente il settimo giorno continuava ad essere osservato fino al quinto secolo”. − Schaff-Herzog Encyclopædia of Religious Knowledge.· “I cristiani antichi avevano una grande venerazione dello Shabat, e passavano quel giorno con adorazione e sermoni. Non è da dubitare che essi presero questa pratica dagli apostoli stessi, come risulta da diverse scritture concernenti questo argomento”. “La domenica era il primo giorno in cui i pagani solennemente adoravano il sole e perciò lo chiamarono sunday. In parte per l’influenza di questo astro specialmente in quel giorno, ed in parte per rispetto a questo corpo divino, com’essi lo concepivano, i cristiani pensarono di mantenere lo stesso giorno con lo stesso nome, per non sembrare intolleranti e non evitare la conversione dei pagani”. − Dialogues on the Lord’s Day, pag. 189, Londra, 1701, by Dr. T. H. Morer (teologo - church of England).· “Essi [i cattolici romani] affermano che lo Shabat è stato sostituito dal giorno del Signore [domenica], contrariamente al Decalogo, come appare evidente. Non c’è nemmeno un esempio a cui essi possano far riferimento per attuare tale cambiamento. Grande è, dicono, il potere della chiesa, che ha abolito uno dei Dieci Comandamenti!”. − Confessione di Fede d’Augsburg, art. 28, scritto da Philipp Melanchton e approvato da Martin Luther, 1530.· “La Legge morale contenuta nei Dieci Comandamenti, ribadita dai Profeti, Egli Jesus non cancellò. Non fu il disegno della sua venuta abolire alcuna delle sue parti. Questa è una Legge che non deve mai essere infranta... Ogni parte di questa Legge deve rimanere vigente su tutta l’umanità in tutte le età; perché non dipende né dal tempo né dal luogo, né da alcuna circostanza che possa cambiarla, ma è nella natura dell’uomo e nell’immutabile rapporto tra queste parti”. − John Wesley, Sermons on Several Occasions, vol. 1, N° 25.· “Lo Shabat nel settimo giorno era vigente nell’Eden, e lo è stato sempre sin d’allora. Questo quarto comandamento inizia con la parola ‹ricorda›, dimostrando che lo Shabat già esisteva quando Dio scrisse la Legge sulle tavole di pietra in Sinai. Come possono gli uomini pretendere che questo comandamento sia stato annullato mentre ammettono che gli altri nove sono ancora vigenti?”. − “Dwight L. Moody, Weighed and Wanting”, 1898, pagg. 46-47. D.L. Moody fu il più famoso evangelista del suo tempo, e fondatore dell’Istituto Biblico Moody.

· “Noi dobbiamo quindi, riconoscere un Dio, Infinito, Eterno, Onnipresente, Onnisciente, Onnipotente, il Creatore di tutte le cose, il più Saggio, il più Giusto, il più Buono, il più Santo. Noi dobbiamo amarLo, temerLo, onorarLo, avere fiducia in Lui, pregare Lui, renderGli grazie, lodarLo, santificare il Suo Nome, ubbidire i Suoi comandamenti, e dedicare del tempo per la Sua adorazione, come siamo diretti dal terzo e quarto comandamento, perché questo è l’amore di Dio, che noi osserviamo i Suoi comandamenti, ed i Suoi comandamenti non sono gravosi. E questa è la parte più importante della religione. Questa è stata sempre, e sarà sempre la religione del popolo di Dio, dal principio fino alla fine del mondo”. − Isaac Newton, citato in “Sir David Brewster, Memoirs of the Life, Writings, and Discoveries of Sir Isaac Newton”, 2 vols., Edinburgh, 1885.
Abbiamo sentito l’opinione di personaggi importanti dell’ambiente protestante-evangelico. Leggiamo adesso cosa hanno detto i diretti responsabili dell’apostasia:
· “Non possiamo trovare in nessuna parte della Bibbia che Gesù o gli apostoli abbiano ordinato che lo Shabat fosse trasferito dal sabato alla domenica. Noi abbiamo il comandamento di Dio dato a Mosè di santificare lo Shabat, che è il settimo giorno della settimana, il sabato. Oggi, la maggioranza dei cristiani osserva la domenica perché questo è stato rivelato a noi dalla chiesa [romana] al di fuori dalla Bibbia”. − Catholic Virginian, ottobre 3, 1947.· “Dove ci si dice nelle Scritture che dobbiamo osservare il primo giorno? Noi siamo stati ordinati di santificare il settimo giorno, ma in nessuna parte ci è stato comandato d’osservare il primo giorno. La ragione per cui noi santifichiamo il primo giorno invece del settimo è la stessa ragione per cui osserviamo tante altre cose: non perchè lo dice la Bibbia, ma perché la chiesa lo ha comandato”. − Isaac Williams, Plain Sermons on the Catechism, vol. 1, pagg. 334,336.· “La domenica è un’istituzione cattolica, e la pretesa di osservarla può fondarsi soltanto su dei princìpi cattolici. Dall’inizio fino alla fine delle Scritture non c’è un solo passo che possa giustificare il trasferimento dell’adorazione dall’ultimo giorno della settimana al primo”. − The Catholic Press, Sydney, Australia, agosto 26, 1900.· “Domanda: «Esiste alcun modo di provare che la chiesa ha il potere d’istituire feste o precetti?»
Risposta: «Se non avesse tale potere, non potrebbe aver fatto ciò in cui tutte le religioni moderne sono d’accordo con la chiesa - non potrebbe aver sostituito l’osservanza dello Shabat, settimo giorno della settimana, con l’osservanza della domenica, il primo giorno della settimana, il che è un cambiamento per il quale non c’è alcuna autorità scritturale»”. −
Stephen Keenan, A Doctrinal Catechism, 3rd. ed. pag. 174.· “Domanda: «Come si può provare che la chiesa ha autorità per stabilire feste e giorni festivi?»
Risposta: «Dallo stesso fatto di aver trasferito l’osservanza dello Shabat alla domenica, cosa che anche i protestanti permettono; quindi ingenuamente si contraddicono loro stessi, osservando attentamente la domenica, mentre rifiutano la maggioranza delle altre feste imposte dalla stessa chiesa»”. −
Henry Tuberville, An Abridgement of the Christian Doctrine (1833), pag. 58 − La stessa affermazione si trova in Manual of Christian Doctrine, Daniel Ferris, 1916, pag. 67.· “E’ opportuno rammentare ai presbiteriani, battisti, metodisti e tutti gli altri cristiani, che nella Bibbia non troveranno alcun supporto alla loro osservanza della domenica. La domenica è un’istituzione della chiesa cattolica romana, e coloro che osservano quel giorno seguono un comandamento della chiesa cattolica. − Il sacerdote Brady, in un articolo riportato nell’Elizabeth, New Jersey News, marzo 18, 1903.· “Se i protestanti vogliono seguire la Bibbia, devono adorare Dio nel giorno di Shabat. Nell’osservare la domenica, essi stanno seguendo una legge della chiesa cattolica. − Albert Smith, cancelliere dell’arcidiocesi di Baltimore, in una risposta al cardinale, febbraio 10, 1920.· “L’osservanza della domenica da parte dei protestanti è un omaggio che essi fanno, malgrado loro stessi, all’autorità della chiesa cattolica. − Louis Segur, Plain Talk About Protestantism of Today, 1868, pag. 213.· “La chiesa cattolica, da più di mille anni prima dell’esistenza del protestantesimo, in virtù della sua divina missione, ha trasferito il giorno dello Shabat alla domenica... La domenica è, quindi, fino ad oggi, figlia riconosciuta della chiesa cattolica, senza alcuna parola di rimostranza dal mondo protestante. − Il cardinale James Gibbons, Catholic Mirror, settember 23, 1893.· “Puoi leggere la Bibbia dal Genesi all’Apocalisse, e non troverai il minimo indizio che possa autorizzare la santificazione della domenica. Le Scritture ribadiscono con forza l’osservanza dello Shabat, un giorno che noi non abbiamo mai santificato. − Il cardinale James Gibbons, The Faith of Our Fathers, ed. 1917, pagg. 72-73; 110th edition, pag. 89.
Ci sono molte altre testimonianze concernenti questo argomento, ma queste possono essere sufficienti per illustrare la verità in quanto al giorno che i cristiani dovrebbero osservare per essere d’accordo alla volontà d’Elohim. L’antico popolo d’Israele è stato più volte giudicato, mandato in esilio o punito in diverse maniere per aver violato lo Shabat. Per questo motivo, al ritorno dell’esilio in Babilonia, i capi d’Israele stabilirono oltre 1500 regole per evitare che il popolo profanasse lo Shabat. Erano determinati a non far cadere la nazione un’altra volta per lo stesso motivo. E’ possibile che Elohim sia così volubile, che una trasgressione che Gli dispiaceva così tanto in un periodo, al secolo seguente significasse niente per Lui? Sembra piuttosto improbabile...

Yeshua e la Torah − La predicazione di Yeshua


Ha Yeshua veramente, come affermano i cristiani, “affrancato” i suoi discepoli dalla Legge? In quale modo? Sopprimendo i comandamenti? Sembra proprio di no, anzi, nella sua predicazione più conosciuta, il Sermone del Monte, il suo atteggiamento nei confronti della Torah è piuttosto quello dei Giudei detti ortodossi, o più rigido ancora. Dopo le beatitudini, il suo discorso sulla Legge inizia con la seguente dichiarazione:
«Non pensate che io sia venuto per sciogliere la Torah o i Profeti; io sono venuto non per sciogliere ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un yod o un apice della Torah passerà senza che tutto sia adempiuto. Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel Regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel Regno dei cieli. Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel Regno dei cieli». (Matteo 5:17-20)
Abbiamo già commentato queste parole nel capitolo precedente . Questa è stata l’introduzione del suo discorso sulla Torah, ch’egli presenta toccando diversi punti i quali inizia con le parole “avete udito che fu detto” e poi esprime la sua posizione dicendo “ma io vi dico”. Rappresenta questo “ma” un contrasto oppure una riaffermazione? Infatti, è un insegnamento comune nel cristianesimo sostenere che Yeshua nel Sermone del Monte abbia proclamato delle antitesi. Indubbiamente, un’antitesi è un’“anti-tesi”, cioè, enunciare il contrario di quello che è stato proposto prima come tesi. Nella filosofia cristiana, questa anti-tesi è senz’altro anti-Torah (ovvero, anti-Legge). Quindi, perché quest’assioma del cristianesimo sia vero, dobbiamo pensare che Yeshua abbia detto come segue:
"Voi avete udito che fu detto agli antichi: ’non assassinare’, ma io vi dico: ’ora potete uccidere chiunque vi sta antipatico!’"; oppure:
"Voi avete udito che fu detto: ’non commettere adulterio’"; e poi, questo Rabbino di Natzaret, nelle vesti di
Jesus Christ Super Star, dice: "ma io vi dico: ’Buone notizie, ragazzi! ora c’è la libertà sessuale! fate l’amore, non la guerra!’"... E’ proprio così? Queste illustrazioni appena presentate, sono delle antitesi. Invece, ciò che Yeshua ha esposto nella sua predicazione, non sono affatto antitesi, ma piuttosto super-tesi, una confermazione di ciò che era già stato stabilito, addirittura con un’ulteriore rigidità. Vediamo:
«Voi avete udito che fu detto agli antichi: “non assassinare” e “chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale”; ma io vi dico: chiunque s’adira senza causa contro il suo fratello sarà sottoposto al tribunale, e chi avrà detto a suo fratello “buono a nulla” sarà sottoposto al Sinedrio; e chi gli avrà detto “pazzo” può essere condannato alla Gehenna... Io ti dico in verità che di là non uscirai, finché tu non abbia pagato fino all’ultimo centesimo». (Matteo 5:21,22,26)
Evidentemente, Yeshua non ha minimamente alleggerito la condanna dell’assassino, anzi, ha parificato dei reati apparentemente molto minori dell’omicidio alla gravità di questo, considerandoli meritevoli della stessa punizione. Non ha “affrancato” nessuno dalla Legge, ma ha piuttosto esteso la sua applicazione ad altre circostanze non contemplate da essa.
«Voi avete udito che fu detto: “non commettere adulterio”; ma io vi dico che chiunque guarda una donna sposata con libidine, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore». (Matteo 5:27,28)
Ha forse Yeshua minimizzato la Legge sull’adulterio? Certamente no, anzi, l’ha ancora inasprita, applicando la condanna riservata agli adulteri di fatto anche a coloro che lo sono solo virtualmente! Nei versi successivi ha ribadito che è un peccato assolutamente da evitare, al punto di rappresentarlo con l’allegoria di tagliarsi i membri che porterebbero a compierlo piuttosto che subire la punizione eterna.
L’episodio della donna adultera alla quale egli non condannò non contrasta con questa sua posizione: un giudice ha anche la potestà d’assolvere il colpevole, ma questo non autorizza a quest’ultimo a continuare a delinquere. Infatti, ogni volta che Yeshua ha perdonato qualcuno, gli ha puntualmente ordinato  “va’, e non peccare più”.
Nota: il verso sopra è riportato correttamente, perché il termine tradotto semplicemente “donna”, nel testo originale (sia aramaico o greco) indica una donna sposata, quindi è più corretto tradurlo in modo inequivocabile − a parte il fatto che l’adulterio si può commettere soltanto con chi è moglie del prossimo.
«Fu detto: chiunque ripudia sua moglie, le dia l’atto del divorzio”; ma io vi dico: chiunque manda via sua moglie, salvo che essa abbia commesso atti d’immoralità sessuale, la fa essere adultera; e chiunque sposa colei ch’è stata divorziata commette adulterio». (Matteo 5:31,32)
Alla faccia dell’affrancamento dalla Legge! Se prima una coppia poteva divorziare e risposarsi entrambi, secondo Yeshua la povera donna non potrà più risposarsi, altrimenti sarà sempre un’adultera, anche se lei è stata mandata via senza colpa! Infatti, la lettera di divorzio serviva proprio come garanzia per la donna che, essendo stata sposata, se poi era còlta insieme ad un altro uomo poteva essere accusata d’adulterio e condannata, ma se ella poteva esibire l’atto di divorzio, allora era per entrambi lecito sposarsi. In questo particolare, Yeshua è molto più rigido di Mosheh, come si legge in Marco 10:2-12 e nel seguente passo parallelo:
Essi gli domandarono: «perché dunque comandò Mosheh di darle un atto di divorzio e mandarla via?» Yeshua rispose loro: «Mosheh, per la durezza dei vostri cuori vi permise di mandar via le vostre mogli, ma in principio non era così. Ed io vi dico che chiunque manda via sua moglie quando non sia per causa d’immoralità sessuale, e ne sposa un’altra, commette adulterio, e chi sposa la donna divorziata commette adulterio anch’egli». I suoi discepoli gli dissero: «se tale è il caso dell’uomo rispetto alla donna, non conviene prendere moglie». (Matteo 19:7-10)
Come risulta evidente dalla reazione dei discepoli, la Legge era molto più morbida della “grazia”... In questo i cristiani sono generalmente più legalisti e rigidi; il mistero consiste nel fatto che, mentre la maggioranza d’essi si oppone al divorzio, credono di fatto in un Elohim “divorziato”, che ha lasciato la Sua prima moglie, Israele, per sposare un’altra più giovane, la chiesa... Invece i Giudei, che accettano il divorzio secondo le regole mosaiche, hanno un Elohim fedele al Suo primo amore... Un vero paradosso!
«Mosheh non vi ha dato egli la Torah? Eppure, nessuno di voi mette ad effetto la Torah! Perché cercate d’uccidermi?» (Yohanan 7:19)
Ha Yeshua reclamato l’osservanza della Torah, oppure la sua inosservanza? Nelle sue discussioni con i farisei, Yeshua recriminava loro ciò che oggi egli reclamerebbe alla maggioranza dei cristiani: l’aver invalidato i comandamenti della Torah per sostituirli con le loro tradizioni. O forse le istituzioni umane stabilite nel seno della chiesa in due millenni di storia del cristianesimo non pesano di più delle Scritture? Quanti dei regolamenti e pratiche delle chiese sono veramente biblici? Infatti, analizzando puntualmente tutti gli incontri in cui egli si confronta con i farisei, in nessun caso mette in discussione la loro osservanza della Torah, ma bensì il loro zelo per le tradizioni, alle quali essi avevano conferito di fatto un’importanza superiore alla Legge Mosaica. Prendiamo come esempio il seguente episodio:
Poiché i farisei ed i Giudei non non mangiano se non si sono lavati le mani e gli avambracci, seguendo la tradizione degli antichi; e quando tornano dal mercato non mangiano se non si sono purificati con dei bagni; e vi sono molte altre cose che osservano per tradizione: lavature di calici, d’anfore e di brocche di rame. Ed i farisei e gli scribi gli domandarono: «Perché i tuoi discepoli non seguono essi la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con le mani impure?» Ma Yeshua disse loro: «Ben profetizzò Yeshayahu di voi ipocriti, com’è scritto: Questo popolo Mi onora con le labbra, ma il cuore loro è lontano da Me. Invano Mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti d’uomini. Voi, lasciato il comandamento d’Elohim, vi siete attaccati alla tradizione degli uomini». E diceva loro ancora: «Come ben sapete annullare il comandamento d’Elohim per osservare la vostra tradizione!». (Marco 7:3-9)
Oggi sarebbe possibile parafrasare questo brano ed adeguarlo alla situazione presente, cambiando soltanto gli interlocutori di Yeshua ed il tipo di costumi imposti dalla tradizione, ma la sostanza rimarrebbe la stessa. Non c’è bisogno d’elencare le innumerevoli pratiche cattolico-romane o greco-ortodosse che hanno obliterato completamente gli ordinamenti biblici, ma anche tra i protestanti e gli evangelici esistono molte diversificate tradizioni che non trovano alcun riscontro nelle Scritture, e pure sono osservate meticolosamente. Tutte queste pratiche sono “giustificate” da una dogmatica scusa: “non siamo più sotto la Legge”; tuttavia, inconsapevolmente o meno, si sono sottomessi a delle leggi, altrimenti vivrebbero nell’anarchia, cosa che non sembra essere il caso della maggioranza delle chiese. Il fatto cruciale è il non voler ammettere che in realtà hanno sostituito una Legge con un’altra legge, la quale, secondo il loro parere, si chiamerebbe “grazia”!
Non è semplice esemplificare in modo generale in cosa consistono le tradizioni delle diverse chiese cristiane, perché variano da una comunità all’altra; tuttavia, la stragrande maggioranza d’esse hanno come denominatore comune la scusa sopra citata, che nasce dal concetto che le Scritture Ebraiche siano “Antico Testamento”, non più in vigore e sostituito dal Nuovo, che non c’è più alcun vincolo nei riguardi della Torah, che chi osserva i comandamenti è un giudaizzante, ecc.
Queste tradizioni ecclesiastiche non sempre si riferiscono a costumi o pratiche, ma riguardano anche dottrine, dogmi, interpretazioni teologiche. Nell’ambiente evangelico, per esempio, l’eresia più diffusa è il dispensazionalismo. Le chiese che sostengono questa falsa dottrina sono la maggioranza, e se qualcuno osa mettere in discussione le posizioni prese in quanto alla soteriologia ed escatologia, ciò gli comporta l’allontanamento o la segregazione. Spesso succede anche che le divergenze inconciliabili tra una congregazione e l’altra (non stupirsi se per questi motivi si scomunicano a vicenda) siano relative a cose d’importanza minore come parlare o non parlare in lingue, o addirittura banali come portare il velo o non portarlo, tagliarsi i capelli secondo dei parametri stabiliti (da chi?), portare o non portare tale o quale indumento, ballare o andare allo stadio, ecc., dettagli per i quali Yeshua non perse tempo a parlarne e dei quali non si occupò minimamente.
Un altro requisito indispensabile per essere un buon cristiano è la fedeltà allo Stato! Sì, piuttosto che ai comandamenti d’Elohim, perché (dicono), la sottomissione allo Stato è ordinata da Elohim. Bisogna essere buoni cittadini, non importa se poi s’infrangono i comandamenti, si profana lo Shabat, si giudica il prossimo, basta che si paghino puntualmente le tasse. Apparentemente, Yeshua stesso ha stabilito ciò. Vediamo: 
Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per veder di coglierlo in fallo nelle sue parole. E gli mandarono i loro discepoli insieme agli erodiani a dirgli: «Rabbi, noi sappiamo che sei onesto ed insegni la via d’Elohim secondo verità, senza riguardo d’alcuno perché sei imparziale. Dicci dunque, che te ne pare? E’ lecito pagare il tributo al Cesare, o no?» Ma Yeshua, conoscendo la loro malizia, disse: «Perché mi tentate, ipocriti? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli portarono un denaro. Ed egli domandò loro: «Di chi è quest’immagine e quest’iscrizione?» Gli risposero: «Di Cesare». Allora egli disse loro: «Restituite dunque a Cesare quel ch’è di Cesare, e date ad Elohim quel ch’è d’Elohim». Ed essi, udito ciò, si meravigliarono, e lasciatolo, se ne andarono. (Matteo 22:15-22)
Questo è il brano classico utilizzato dai legalisti cristiani per stabilire in modo tassativo ed indiscutibile il loro dogma del dovere civico del pagamento delle tasse, il quale è stato elevato alla categoria di dottrina e metterlo in discussione è una questione non più sociale ma teologica. Benché potrei farlo con parole mie, ancora una volta vorrei citare Pinhas Lapide perché spiega la situazione in modo ineccepibile:
 
Siamo nel cuore della Yerushalaym giudaica e nel cortile del Tempio. Da una parte i fieri sadducei, i quali vogliono compromettere il riottoso predicatore itinerante di Natzaret. Dall’altra il Nazareno, il quale vede nei sadducei dei veri e propri collaboratori dei tiranni pagani Romani. Ora, in questa contrapposizione intra-giudaica, si abbatte come una mazzata una domanda tranello: «Rabbi, è lecito o no pagare il tributo al Cesare?» Notare la formulazione provocatoria! Era infatti un inderogabile dovere civico pagare il tributo a Cesare. La temuta imposta riguardava tutti gli Ebrei e proprio su di essa si basava lo sfruttamento economico del Paese. E’ di questa riscossione delle tasse che si tratta nella domanda-tranello che viene posta a Yeshua nel cortile del Tempio, in un’atmosfera estremamente tesa, che esprime formalmente un desiderio di liberazione e libertà e quasi un invito alla sollevazione. Ora Yeshua poteva accettare o avallare una sacrilega sottomissione al potere romano? Sacrilega, poiché Ponzio Pilato aveva esteso il suo disprezzo per la fede ebraica al punto di far coniare delle monete provocatorie, le quali con la loro effigie dell’imperatore violavano apertamente il secondo comandamento. La domanda posta a Yeshua sembra non ammettere alcuna via d’uscita. Se Yeshua risponde «Sì, è lecito pagare il tributo a Cesare» si dichiara agli occhi dei suoi discepoli e simpatizzanti come un vile collaboratore. Se afferma «No, non è lecito pagare il tributo a Cesare» viene considerato un ribelle dai Romani, còlto in flagrante violazione della legge ed è quindi giuridicamente e politicamente spacciato. Ma Yeshua chiede al suo interlocutore di mostrargli una moneta, dando chiaramente a vedere a tutti che egli non possiede alcuna moneta pagana recante l’odiate effigie. E mostrando la moneta, il denaro di Tiberio, chiede: «Di chi è quest’immagine e l’iscrizione (cioè il titolo di proprietà)?». «Di Cesare» è la risposta generale. Allora risponde in modo chiaro ed inequivocabile: «Restituite [rendete] quindi a Cesare ciò che è di Cesare e ad Elohim ciò che è d’Elohim». Qui abbiamo uno degli errori di traduzione più gravi e ricchi di conseguenze negative di tutto l’Evangelo. Yeshua non dice «date», ma «date indietro, restituite» (in greco apodote), consigliando in definitiva una rottura non violenta nei riguardi dell’ordinamento politico esistente. In altri termini, poiché secondo il diritto romano relativo alle monete, tutte quelle in circolazione che portavano l’effigie dell’imperatore gli appartenevano come sua proprietà privata, la risposta di Yeshua era a prima vista giusta e corretta. Ma non così per i Giudei presenti. Essi compresero chiaramente ciò che Yeshua diceva: «Restituite all’imperatore il suo peccaminoso denaro e non usatelo, come io stesso vi ho dimostrato, affinché possiate dare ad Elohim ciò che è d’Elohim, cioè il riconoscimento della Sua esclusiva sovranità sull’intera Creazione, senza dominazione pagana e culto idolatrico». I Giudei, che allora erano oppressi, compresero benissimo − senza il successivo errore di traduzione − il messaggio di Yeshua: un deciso rifiuto opposto agli occupanti ed ai loro collaboratori. Le parole che Yeshua pronunciò quel giorno a Yerushalaym per i Romani erano inoppugnabili, ma per i Giudei erano un chiaro invito alla rivolta. Purtroppo per i lettori italiani della Bibbia esse continuano ad essere tradotte in un modo che ne travisa il senso”.
A questa spiegazione di Pinhas Lapide c’è poco da aggiungere. Solo che per precisione, le monete giudaiche non avevano alcuna immagine, e quindi potevano essere usate per comprare e vendere ciò che serve alla vita di tutti. Infatti, Yeshua non è a caso che chiede specificamente sull’immagine e l’iscrizione, ma con una ragione, e fonda la sua risposta su questo particolare − tacitamente, chiede al suo auditorio: l’immagine di Chi siete voi? Date quindi a Colui del quale siete immagine ciò che Gli appartiene, voi stessi, e lasciate perdere ciò che è dello Stato (in questo caso dell’imperatore). Il “culto dello Stato” promosso dai cristiani, quindi, non trova alcuna giustificazione in questo brano, anzi, è piuttosto confutato.
Ciononostante, qualcuno dirà che Yeshua pagava le tasse, basandosi in Matteo 17:24-27; allora prendiamo in considerazione anche quel brano:
E quando furono venuti a Kefar-Nahum, quelli che riscuotevano le didramme s’avvicinarono a Kefa e dissero: «Il vostro Rabbi non paga egli la didramma?» Egli rispose: «Sì». Perché quando erano entrati in casa, Yeshua lo prevenne e gli disse: «Che te ne pare, Shim’on? i re della terra da chi prendono le tasse o il dazio? dai loro figli o dagli stranieri?» E Kefa rispose: «Dagli stranieri». Yeshua gli disse: «I figli, dunque, sono esenti. Ma, per non scandalizzarli, vattene al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che verrà su; e apertagli la bocca, troverai uno statère. Prendilo, e dàllo loro per me e per te».
A parte il fatto che risulta chiaro che il pagamento di questa tassa non è un obbligo, ma volontario “per non scandalizzare”, qui si tratta non delle imposte dei Romani − i quali non chiedevano certamente se qualcuno aveva o meno la volontà o la voglia di pagare come invece hanno fatto questi che riscuotevano le didramme − ma della tassa per il mantenimento del culto, uno dei regolamenti farisaici.  Infatti, la didramma era una moneta utilizzata a tale scopo e circolava localmente, non aveva alcun valore per le tasse imperiali.
L’evidenza che Yeshua alla fine viene considerato un sedizioso dai Romani si palesa nel modo in cui è stata determinata la sua esecuzione: la crocifissione infatti, secondo la Lex Julia Majestatis, ovvero la legge romana, era applicabile soltanto per due categorie di criminali: gli schiavi fuggiaschi ed i ribelli antiimperialisti. Praticamente tutti coloro che sono stati crocifissi durante la dominazione romana in Giudea erano rivoluzionari zeloti − come lo erano anche i “ladroni” condannati insieme a Yeshua. Infatti, con questo termine denigratorio si indicava i combattenti indipendentisti, siano essi zeloti, sicarii o altri guerriglieri. Così lo storico Strabone applica questo termine agli Hasmonei, e Giuseppe Flavio nella “Guerra Giudaica” spiega che i Romani  chiamavano così i rivoluzionari. I semplici ladroni, nel vero senso della parola, erano giustiziati senza alcuna cerimonia − crocifiggere qualcuno comportava delle complicazioni, ed era fatto allo scopo d’intimidire il popolo, esponendo pubblicamente gli indipendentisti. Nessuno si prendeva la briga di farlo per un semplice delinquente comune che non minacciava l’onore dell’impero. Il silenzio degli Evangeli sullo scenario politico dell’epoca e la reticenza nel nominare gli zeloti (così come il misterioso silenzio sugli esseni, già spiegato) deriva dal fatto che il testo greco fu ultimato in pieno periodo di persecuzioni neroniane contro i cristiani, per cui al meno i loro testi sacri dovevano evitare qualsiasi riferimento che potesse irritare le autorità romane e dare loro un’ulteriore scusa per infierire contro la nascente assemblea di fedeli nazareni (come si chiamavano originalmente i cristiani). Dopo gli atroci supplizi a cui sono stati sottoposti i seguaci del Cristo, i traduttori dovevano far sì che il testo greco non lasciasse intravedere che il loro Messia ed i suoi apostoli avessero coltivato neanche la più pallida avversione nei confronti dell’impero, così che la stesura finale non avesse niente a che fare con la politica di liberazione giudaica. Invece, nella società ebraica dell’epoca di Yeshua c’era una tripartizione trasversale, al di fuori dei partiti e correnti di pensiero teologico, basata sulle condizioni di vita: la massa popolare, che mirava alla sopravvivenza, i traditori che per migliorare la loro posizione passavano dalla parte dei collaborazionisti dei potenti, ed i “giusti”, nome che si dava ai Giudei che osservavano la Torah in modo ineccepibile, che non scendevano a compromessi nemmeno per una yod o un apice. Uno di questi punti fondamentali dell’osservanza della Torah che facevano di un Giudeo un giusto, riguardava proprio l’autorità: “Quando sarai entrato nel Paese che Adonay il tuo Elohim sta per darti, dovrai costituire sopra di te come re colui che Adonay il tuo Elohim avrà scelto. Costituirai come re sopra di te uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello” (Deuteronomio 17:14,15). Questa era una proibizione tassativa, così che nessun Giudeo fedele avrebbe mai accettato la dominazione dei pagani. In quale schiera sociale poteva trovarsi Yeshua? Non c’era molta scelta. Infatti, l’immagine “pacifista” (o meglio, “menefreghista” in quanto alla politica) di Yeshua presentata dai cristiani non coincide con il suo consiglio ai discepoli: «Chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una» (Luca 22:36). Non ha finito la frase che essi ne hanno già estratto due (o 24?, 2x12...). Nelle versioni italiane della Bibbia, la risposta di Yeshua al loro atto d’estrarre le spade è mal riportata: “basta” (Luca 22:38); è molto più fedele all’originale la versione inglese, che dice: “that is enough”, ossia “bastano”, oppure “sono sufficienti”. Il dato di fatto è che , una, due o quelle che siano state, costituivano una grave infrazione contro la legge romana, che vietava tassativamente a tutti gli Ebrei di portare spade. E non solo le portavano, ma le hanno pure usate, come attesta Luca 22:50. Ricorrerò ancora una volta al testo di Pinhas Lapide per concludere la descrizione dell’estrazione socio-politica alla quale appartenevano la maggioranza degli apostoli (forse tutti eccetto Matteo, l’esattore):
 “Tuttavia, nella sistematica spoliticizzazione della redazione greca finale affiorano qua e là frammenti della verità storica. Fra i Dodici, Shim’on viene coraggiosamente chiamato due volte ’lo Zelota’ (Luca 6:15; Atti 1:13); il significato di gran lunga più evidente del soprannome ’Iscariota’ dato a Giuda è
sicarius, cioè ’uomo del pugnale’. Anche ’bar-Yona’, il soprannome dato da Yeshua a Kefa (Matteo 16:17) subisce nell’espressione ’figlio di Yona’ una evidente storpiatura, poiché in aramaico significa ’esiliato’, ’bandito’, in breve: un ribelle perseguitato dagli sbirri Romani. Che sotto il nomignolo ’figli del tuono’ dato ai figli di Zavdai (Marco 3:17) si nascondesse la loro inclinazione alle azioni violente lo dimostra la loro unica entrata in scena, quando propongono a Yeshua di punire gli inospitali samaritani con il pugno di ferro (Luca 9:54). Che gli apostoli facessero parte degli attivisti militanti del tempo non dovrebbe sorprendere nessuno che abbia un po’ di fiuto storico. Chi ha vissuto come Ebreo in una terra occupata dal nemico non fa alcuna fatica ad immedesimarsi nelle condizioni politiche della patria di Yeshua al tempo della sua vita”. (“Bibbia tradotta, Bibbia tradita”, parte terza, 1, 39).
Sul concetto che si aveva dei Romani all’epoca ne faremo accenno più avanti; ritorniamo adesso agli insegnamenti di Yeshua.
Vediamo un altro passo che i cristiani amano citare per fare a meno della Torah come qualcosa di vecchio ed inutile:
«Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo rompe gli otri, il vino si disperde, e gli otri vanno distrutti. Ma il vino nuovo va messo in otri nuovi, e l’uno e gli altri si conservano. E nessuno che abbia bevuto il vino vecchio ne desidera del nuovo, perché dice: “il vecchio è migliore!”». (Luca 5:37-39)
E’ interessante il fatto che i predicatori cristiani quando parlano di questo episodio normalmente non usano il testo di Luca, ma quello parallelo di Matteo 9:17 oppure Marco 2:22 − perché? Perché in questi due Evangeli, l’ultima frase non compare. L’altro particolare è l’interpretazione che essi danno a questo brano -puntualmente tòlto dal contesto-. Seguendo le orme dei famigerati “padri della chiesa”, noti fanatici dell’antigiudaismo, mettono nella bocca di Yeshua qualcosa di blasfemo ch’egli non ha mai inteso dire, ovvero, che il  “vino nuovo” è il suo nuovo, rivoluzionario messaggio, che è incompatibile con il vecchio e vetusto Giudaismo e la sua Torah, rappresentati dagli otri vecchi, i quali non possono comprendere l’Evangelo. Si tratta appunto di un’esegesi assolutamente errata e fuori dal contesto. Innanzitutto, Yeshua non ha mai detto che il suo messaggio fosse nuovo, e tanto meno in contrapposizione alla Torah, di cui ribadisce l’assoluta ed eterna validità, e reclama l’osservanza persino dell’ultima yod. Si prega ai signori esegeti e predicatori, di rivedere l’intero contesto, e di leggere anche il brano parallelo di Luca. Grazie. In primo luogo, questa metafora riguarda il digiuno (un’altra cosa che la stragrande maggioranza dei cristiani non hanno capito, e pensano che sia una specie di sciopero della fame” per costringere Elohim a concederli qualche petizione); secondo, se quest’allegoria rappresentassi veramente il “vecchio Giudaismo” versus il “nuovo cristianesimo”, gli stessi sostenitori di questa teoria si danno la zappa sui piedi, perchè, effettivamente come riporta Luca, “il vino vecchio è migliore”!
Per concludere con questa parte, intitolata “La predicazione di Yeshua”, e riprendendo anche il soggetto principale di questo studio, ovvero, la Casa di Israele e la Casa di Yehudah, presenterò uno dei miracoli operati da Yeshua:
Ed avvenne che, sulla sua strada verso Yerushalaym, egli passava sui confini della Samaria e della Galilea. E come entrava in un certo villaggio, gli vennero incontro dieci uomini lebbrosi, i quali, fermatisi da lontano, alzarono la voce dicendo: «Yeshua, Rabbi, abbi pietà di noi!» E vedutili, egli disse loro: «Andate a mostrarvi ai Kohanim». E avvenne che, mentre andavano, furono mondati. (Luca 17: 11-14)
Questo è uno dei miracoli operati da Yeshua, il quale, come tutti gli altri, fu compiuto fuori della Giudea − perchè, come è già stato spiegato, nessun Profeta ha mai fatto miracoli in Yehudah, dal momento che lo scopo principale dei miracoli è il riscatto di cui i Giudei, avendo la Torah, non hanno bisogno. Vediamo infatti, che questi lebbrosi non erano Giudei, ma dei popoli risultanti dalla mistura fra i discendenti delle dieci Tribù e popoli gentili, e nella loro condizione erano letteralmente recisi dal popolo, come la Casa di Israele fu recisa dall’ulivo ed esclusa dalle benedizioni riservate ai Giudei. La loro guarigione operata da Yeshua li permise di essere riammessi, e rappresenta la salvezza ricevuta per grazia, tuttavia, Yeshua li ordinò di “presentarsi ai kohanim”, ciò significa che la loro salvezza ha uno scopo: farli ritornare all’osservanza della Torah. Per questo motivo, questi dieci uomini che saranno entrati nell’Era Messianica perché salvati tramite Yeshua, dovranno adempiere lo scopo della loro salvezza, e ritornare all’osservanza del Patto, perciò prenderanno per la veste un Giudeo affinché li sia di guida (Zekharyah 8:23).
Alcuni esempi simili li troviamo nelle parabole, come quella delle dieci vergini (Matteo 25:1-13) e dei dieci servi (Luca 19:12-27). Sono dieci le vergini che aspettano lo sposo, e sono dieci le Tribù che aspettano la redenzione; sono dieci i servi ai quali l’uomo nobile ha incaricato di fruttare i suoi beni, e sono dieci le Tribù dei figli d’Israele che riceveranno potestà di governare nel Regno al suo ritorno. Questo concorda con la sua enigmatica dichiarazione: «Io non sono stato mandato se non alle pecore perdute della Casa di Israele» (Matteo 15:24). A proposito, questo disse quando gli è richiesto di dare ascolto alla supplica di una donna cananea, la quale, in quanto gentile, è qualificata da Yeshua nello stesso modo che generalmente i Giudei reputavano i gentili: dei cani. Come mai Yeshua ha trattato così una povera donna? Egli semplicemente era in linea con i concetti dei Giudei dell’epoca, e per quanto questo possa stupirci, Yeshua non censurò questo modo di considerare i gentili, ma egli stesso aderì! Questo stesso concetto lo troviamo nell’ultimo capitolo della Bibbia, in Apocalisse 22:15 −  “fuori i cani, ecc.”. Molte ipotesi si sono proposte cercando di spiegare cosa significa questo, chi sono i “cani” che non possono entrare nella Città. Se si leggesse la Scrittura in forma più coerente, collegando i versi con il contesto generale, magari si riuscirebbe a capirla meglio. Purtroppo, la mancanza d’imparzialità e di conoscenza della società dell’epoca, porta gli esegeti a
perdersi in speculazioni teologiche senza fine. Che la parola “gentile” (goy, in ebraico) avesse dei connotati negativi risulta evidente anche dal fatto che era come un sinonimo di peccatore, come nel seguente brano:
«E se rifiuta d’ascoltarli, dillo all’assemblea; e se rifiuta d’ascoltare anche l’assemblea, sia considerato come un gentile ed esattore». (Matteo 18:17)
E’ superfluo spiegare che in questo verso la parola corretta è assemblea, e non “chiesa” come alcune versioni riportano. La chiesa come tale non esisteva ancora, eppure, traducendo il termine in questo modo, tacitamente s’accetta il fatto che la vera ed unica chiesa era quella già esistente ai tempi di Yeshua, ovvero, la Sinagoga! Riprendendo il nostro argomento, qui il peccatore impenitente ed accanito è paragonato al gentile ed all’esattore (disprezzato in quanto servo dei gentili). In poche parole, il gentile è colui che non entrerà mai nell’assemblea d’Israele, mentre che coloro i quali sono redenti, devono essere innestati nell’ulivo domestico (e non l’ulivo domestico nella chiesa dei gentili!). A loro viene paragonata la persona materialista (Matteo 6:32), e le loro preghiere ripetitive -come il rosario, introdotto nel cristianesimo dall’ambiente pagano- come stupide ed inascoltabili (Matteo 6:7). L’occorrenza di termini spregiativi nei loro confronti da parte di Yeshua si ripete in altre circostanze, dove ancora sono chiamati cani, ed altri animali:
«Non date ciò ch’è santo ai cani e non gettate le vostre perle dinanzi ai porci, che talora non le pestino coi piedi e, rivolti contro di voi, non vi sbranino». (Matteo 7:6)
In questa esortazione non si parla letteralmente né di cani né di porci, ma di gentili in generale e di Romani in particolare, per i quali non si deve sprecare alcuna spiegazione della Torah. Questo poteva addirittura risultare controproducente, al punto di poter diventare una scusa per organizzare una repressione (così infatti agivano i Romani). C’è ancora un episodio singolare in cui ci sono di nuovo trai protagonisti certi “animali”:
E Yeshua gli domandò: «Qual’è il tuo nome?», ed egli rispose: «Il mio nome è legione, perché siamo molti»... Or quivi pel monte stava a pascolare un gran branco di porci. E gli spiriti lo pregarono dicendo: «Mandaci nei porci, perché entriamo in essi». Ed egli lo permise loro. E gli spiriti impuri, usciti, entrarono nei porci, ed il branco, ch’era di circa duemila, s’avventò giù a precipizio ed affogarono nel mare. (Marco 5:9-13)
Per commentare questo episodio, non potrei farlo meglio di Pinhas Lapide, per cui, anche questa volta, mi permetto di riportare letteralmente la sua spiegazione:La guarigione miracolosa dell’indemoniato di Gerasa − una delle pericopi più ampie della tradizione sinottica − mostra evidenti segni di ripetuti rimaneggiamenti. Essa è stata oggetto d’interpretazioni molto diverse. I più pensano che l’episodio dei porci sia stato aggiunto in un secondo tempo al racconto originario. Il fatto che in Marco (5:12) e Luca (8:26-39) si tratti di un solo indemoniato ed in Matteo (8:28-34) di due; il fatto che la città di Gerasa disti due giorni di cammino da Genetzaret, per cui lo spostamento del mare (Marco 5:1,13) sul luogo della guarigione è con ogni probabilità redazionale, sono incongruenze del racconto che danno filo da torcere all’esegeta.  Ma assolutamente incredibili sono i ‹circa duemila porci› nei quali, secondo Marco, Yeshua ha fatto entrare i demoni scacciati. Che questo numero oltrepassi di gran lunga tutte le plausibili dimensioni di un branco di porci − a parte il fatto che i porci non sono animali che vivono in branco − è incontestabile. Anche Matteo e Luca sembrano essere stati di quest’avviso, poiché riprendono quasi con le stesse parole di Marco la conclusione della pericope sulla cacciata dei demoni, ma tacciono sul numero dei porci.
Anche in questo caso, riportando il racconto al testo ebraico si potrebbe risolvere il problema:
ba’alafim significa in ebraico ‹in branco› o ‹a frotte›, perché il termine originario elef può significare sia ‹bestiame, bovini›, sia ‹mille›. Poiché in ebraico le lettere bet e kaf sono molto simili, sarebbe piuttosto difficile distinguerle in un rotolo usato di frequente e quindi usurato. Quindi, ka’alafim può essere facilmente letto come ka’alpaim, che significa ‹quasi duemila›.
Ma il nostro racconto può nascondere benissimo un significato profondo, che possiamo scoprire solo riflettendo sul significato del termine ‹porci› nell’Israele di quel tempo. Com’è noto, la carne di maiale non può essere consumata (Levitico 11:7; Deuteronomio 14:8) e l’allevamento dei maiali era severamente vietato in tutto Israele (BQ 7:7). ‹Maledetto l’uomo che alleva maiali› (M 64b e Sotah 49b) era considerato un principio basilare assolutamente incontestabile. Il ‹porco› era anche l’immagine dell’odiato impero romano. A ciò s’aggiunge il fatto che la X legione fretense, che allora assicurava in Israele la famigerata
pax romana ricorrendo brutalmente alla spada aveva come mascotte un cinghiale. Se a tutto questo s’aggiunge che i legionari Romani spesso arricchivano il loro povero rancio militare con carne di maiale rastrellata nei villaggi greci della Decapoli, è chiaro che i termini ‹porci› e ‹legione› emanavano un odioso odore politico, soprattutto presso tutti coloro che speravano nella liberazione d’Israele, come si dice così eloquentemente nel Magnificat (Luca 1:49-55), nel Benedictus (Luca 1:68-71) e nella Profezia di Hanna (Luca 2:38). Perciò, quando Yeshua ammonisce i suoi di ‹non gettare le perle davanti a i porci›, essi comprendono che non si deve sprecare la sapienza della Torah per i pagani e soprattutto per i Romani.
Qui, nella guarigione dell’indemoniato, i riferimenti allo ‹spirito immondo›, che si presenta come ‹legione›, ‹perché siamo molti›, e poi ‹scongiura con insistenza Yeshua di non cacciarlo fuori da quella regione›, ma di ‹mandarlo da quei porci›, sono altrettante evidenti allusioni all’indesiderata potenza romana. Anch’essa ‹non voleva lasciare la regione›; anch’essa aveva uno ‹spirito immondo› ed era molto numerosa; anch’essa era associata inequivocabilmente ai porci nel linguaggio comune. Perciò, è impossibile non percepire la gioia del narratore quando parla della fine di tutti quei porci, per i quali si è letteralmente pregato ‹il mare› di venire in soccorso. I Romani erano giunti in Israele proprio ‹dal mare›, contro la volontà del popolo Ebreo, per cui il loro ritorno a casa sul mare, meglio ancora a capofitto ‹giù nel mare›, corrispondeva al desiderio di tutti gli Ebrei del tempo. A tale riguardo, si può ancora ricordare che Matteo indica come luogo della guarigione Gadara, che, diversamente da Gerasa, si trovava in prossimità del mare ed era stata distrutta due volte nella guerra contro Roma ed i suoi abitanti erano stati massacrati, fatti prigionieri o crocifissi. Il nocciolo storico di questo racconto può esprimere il desiderio, assolutamente comprensibile nei sopravvissuti a quel massacro, che i ‹porci Romani› sprofondassero, come un tempo i cavalieri del Faraone, fra le onde del mare.
Anche Joachim Gnilka afferma giustamente nel suo commento: «L’origine del racconto potrebbe essere zelota, e nella scelta di quel termine si può sospettare qualcosa di più, vedervi cioè un’allusione alla situazione politica della regione»
”. (“Bibbia tradotta, Bibbia tradita”, parte terza, 1, 25).
Il fatto che il testo greco degli Evangeli fu concluso in pieno periodo di persecuzione contro i
seguaci di Yeshua da parte dei Romani è un motivo più che valido per utilizzare delle metafore che non possano essere capite da questi. Diversamente dalle Scritture Ebraiche, che raccontano la verità storica, il Nuovo Testamento è pieno d’allegorie, proprio per questo motivo. La stessa città di Roma viene chiamata "Babilonia" (città che allora si trovava in territorio dei nemici dei Romani, l’Impero dei Parti) per non compromettere né l’autore né i lettori e permettere che il testo sopravvivesse. Che i gentili siano rappresentati da animali non è inusuale, infatti, nella visione del Profeta Daniel, gli imperi mondiali sono raffigurati da diverse bestie, di cui la più terribile ed abominevole è proprio la bestia romana. Ai cristiani piace molto dare un’interpretazione simbolica alla Bibbia, quindi, non dovrebbero avere difficoltà ad ammettere che anche questo racconto sia incluso nel loro elenco di allegorie, visto che le prove contro la letteralità dello stesso sono schiaccianti. Non ci risulta che né Gerasa né Gadara fossero città prevalentemente abitate da non-Ebrei, per cui l’allevamento di porci in quella zona è altamente improbabile, com’è assurda la quantità di duemila − è invece realistico pensare che ci fossero delle legioni romane stanziate in quell’area.
Vorrei chiarire che con questo non abbiamo nessuna intenzione di offendere i cittadini di Roma, i quali sono come tutti gli esseri umani uguali davanti ad Elohim ed hanno anch’essi bisogno di misericordia divina ed hanno la stessa dignità dei Giudei e di tutti i popoli. Questa riflessione è semplicemente un’analisi storica della situazione sociale e politica di quel tempo, in cui l’Impero Romano s’era guadagnata la cattiva fama per i suoi metodi atroci di conquista e dominazione. I soldati Romani d’altronde, erano maggiormente dei mercenari di svariate origini, non necessariamente Romani nel senso stretto del termine.